locandina-film-7-cavalleria (1)Davvero non saprei che cultura si acquisisce nelle facoltà di economia e dal solo esame nella materia che ho dato ai miei tempi davanti al prof Romano Prodi, vestito con un maglionazzo da trappista, non sono rimasto favorevolmente impressionato dall’antropologia che intrinsecamente vi si dispiegava. Di fatto mi sembrava una scienza normativa della società più che euristica. Così non mi sono mai stupito del fatto che gli economisti siano impotenti di fronte alla previsione e che gratta gratta vi si trova sempre una enorme resilienza al futuro. E nemmeno mi stupisco delle ultime dichiarazioni di Bagnai che una parte sono assolutamente condivisibili, ma dall’altra sono dimostrazione di un’ingenuità davvero sconcertante che non tiene conto dell’evoluzione delle cose.

Cominciamo dal discorso apprezzabile, ancorché certo non nuovo: “Ora ci sarebbe da chiedersi perché la Germania stia rallentando, e la risposta la sapete e l’avevamo prevista: perché c’è un rallentamento dell’economia mondiale, e perché l’esposizione dell’economia tedesca a quella mondiale non è fisiologica: è patologica. Il più grande surplus commerciale al mondo fa della Germania un paese pericoloso a se stesso e ai propri vicini. Quella che loro, con una spettacolare invidia penis collettiva, continuano a leggere come loro potenza (l’impennata del surplus commerciale), in realtà è la loro fragilità (l’accresciuta dipendenza della loro crescita dalle vicende altrui). Ma questo non c’è verso di farglielo intendere, ai nostri cari fratelli tedeschi, e ce ne dispiace per loro, perché, purtroppo (e preciso che sinceramente mi addoloro per questo dato di fatto) quello che non si capisce con le buone, alla fine, lo si capisce con le cattive”.

Ma quali mai saranno queste cattive e da chi mai potrebbero essere intraprese? Bagnai sembra non aver abbandonato gli anni ’90 con qualche puntata sui ’50: “Agli Stati Uniti questo atteggiamento dà fastidio, e quando avranno regolato la situazione con la Cina sicuramente si volgeranno verso di noi.” Quasi quasi sembrerebbe di stare a sentire Renato Carosone che canta tu vuò fà l’americano ,mentre i soldi pe’ Camel vengono dal borsellino di mammà. Come si fa a pensare che in poco tempo gli Usa possano sbrigare in poco tempo le faccende con l’ex celeste impero che possiede un’economia stratosferica e che in pratica produce qualsiasi cosa marchiata poi made in Usa? Il discorso di Bagnai giustamente prende di mira la filosofia di Berlino che impone misure recessive per superare la recessione accecata dal  ottenere un vantaggio in proprio e di appoggiare le proposizioni politiche dell’oligarchia, ma poi quella frase ci pone giusto all’incrocio del vecchio mondo che sintetizza l’onnipotenza degli Usa e del capitalismo selvaggio con qualche vena italiota post bellica che attribuisce un ruolo salvifico allo zio Sam, Possibile che non si si renda conto di ciò che sta succedendo nel mondo? Pensa che arrivino  portino cioccolata e chewingum?

Del resto Washington non ha alcun bisogno di aspettare di “sottomettere” la Cina e la Russia per passare alle maniere forti con la Germania, anche ammesso che questo modo di pensare abbia qualche sensatezza: il caso Volkswagen e quello del North Stream lo dimostrano chiaramente. Ma la cosa cosa ci riguarda solo di striscio, perché agli Usa interessa soprattutto che Berlino cementi il muro con Mosca e tronchi con essa qualsiasi interscambio, per questo si mette di traverso a fare sgambetti. Qui però si legge tutta la cifra di una certa italianità provinciale e servile che si aspetta salvezza soltanto dall’esterno, che non crede nella possibilità di riscatto e di fronte alla necessità di reagire suggerisce di non fare nulla – il che è politicamente astuto visto che permette di non prendere chiaramente parte, di rimanere sempre in un punto zero in attesa di vedere come va a finire – perché certamente arriverà il settimo cavalleria (vedi nota) a fare ciò che in proprio non abbiamo le palle di fare. Ma sì, aspettiamo pure il generale Custer che ci ha già scippato la Fiat e non muoviamo un dito.