AmazonNei giorni scorsi ho citato di sfuggita la vittoria della deputata Alexandria Ocasio – Cortez, nell’impedire che la città pagasse ad Amazon 3 miliardi di dollari perché quest’ultima erigesse a New York e in particolare nel Queens il suo nuovo quartier generale, ma la questione è così esemplare della lotta di classe del capitale e della pretesa di questi grandi gruppi e multinazionali di essere padroni assoluti e legislatori supremi che merita di essere approfondita. Amazon infatti non chiedeva solo i soldi e forti esenzioni fiscali  per trasferire lì da tutto il Paese i suoi dirigenti e i suoi quadri, anzi in un certo senso queste cose le spettavano di diritto visto che non hanno bisogno di approvazione e che vengono dati a qualsiasi società crei abbastanza nuovi posti di lavoro in zone della città classificate come “in difficoltà”. No pretendeva anche che la municipalità e il suo complessivo sistema politico e sindacale la garantissero da richieste e scioperi di quel velo di addetti di supporto che sarebbero stati reclutati in loco. La  rinuncia a New York equivale in sostanza a una serrata con la quale si punisce il potere pubblico per non aver acconsentito ai propri desideri. Ora bastava fare un po’ di semplici conti per vedere che il contributo iniziale di 3 miliardi e qualcosa, più gli sgravi fiscali annuali non avrebbero compensato né il lavoro in più di basso livello reperito localmente, né le tasse sui dirigenti e quadri già assunti e solo trasferiti nella mezza mela. In più l’arrivo di molti dirigenti nella sola area dove la piccola borghesia può trovare a case a prezzo abbordabile, avrebbe frantumato il tessuto sociale e si sarebbe risolto in maggiori spese per la comunità. Amazon finirà perciò per andare altrove, magari dove le hanno offerto 15 miliardi e la totale esenzione fiscale in cambio di qualche briciola di lavoro.

La vicenda illustra molto bene come i capitalisti fanno tali “serrate” per costringere i governi a creare un “buon clima per gli investimenti che significa tasse basse sulle loro società e su di essi individualmente, tagli drastici alle regole e inoltre pretendono anche che i governi indeboliscano o bandiscano i sindacati. Anzi un altro esempio riguardante Amazon che in questo campo fa da battistrada dimostra che le multinazionali pretendono l’intero governo della cosa pubblica: l’anno scorso il il Consiglio comunale di Seattle ha approvato all’unanimità una tassa annuale di 275 dollari a dipendente per aziende con più di 20 milioni di dollari di ricavi in modo da finanziare la costruzione di appartamenti e rifugi per la popolazione di senzatetto in costante crescita della città. Una cifra modesta rispetto al giro d’affari – per Amazon ( con ricavi per oltre 200 miliardi l’anno) si sarebbe trattato di 3, 5 milioni –  ma la multinazionale che ha ancora in quella città la sua sede principale e vediamo in quale modo sta cercando un’altra “casa”, ha risposto sospendendo immediatamente la costruzione di un nuovo complesso di uffici in città e ha dichiarato esplicitamente che non avrebbe ripreso gli investimenti a Seattle fino a quando la tassa non fosse stata abrogata. Di fronte allo sciopero del capitale di Amazon, il Consiglio comunale ha rapidamente cancellato il contributo  ed è persino  divertente vedere come il sindaco ha fatto marcia indietro, sostenendo  che Amazon e altre società avrebbero trovato modi non monetari per affrontare il problema dei senzatetto, come per esempio app e analisi dei dati. Ovviamente nessuna app può chiudere il baratro tra le decine di migliaia di senzatetto a Seattle e le unità abitative disponibili.

Insomma i capitalisti sono ormai in grado di dettare le regole politiche e del contratto sociale e i governi di ogni livello non fanno che ubbidire (vedi il calo di braghe di Obama con il sistema bancario) . anche perché con il tempo si è creato un circolo vizioso:  l’enorme  diminuzione delle tasse ai ricchi e alle aziende fa sì che il settore pubblico abbia sempre meno da investire, mentre quello privato sempre di più, per cui le multinazionali possono imporre la legge del taglione. E dove questo processo non è ancora del tutto sviluppato intervengono governance non elettive, come quella della Ue, per vietare di fatto investimenti pubblici con le leggi draconiane sui bilanci. Ci sono molti sistemi per riequilibrare la situazione: tornare a tassare i ricchi come nel trentennio d’oro del dopoguerra, cosa che anche alcuni economisti di rilievo cominciano a pensare, stabilire regole precise e stringenti sul lavoro e/o sulle  retribuzioni, mettere tasse sui grandi patrimoni, rendere difficili le delocalizzazioni. In questo modo, pur dentro la logica capitalista, il pubblico tornerebbe ad essere il maggior investitore e dunque non dovrebbe cedere al ricatto ritornando a cercare di fare gli interessi di tutti e non solo dei ricchi. Ma per fermare la caduta di dignità e democrazia occorrerà prima liberarsi di ceti politici ormai compromessi con il potere economico, sia ideologicamente che “in solido” come dicevano gli antichi ragionieri.