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I peggiori stragisti di Caracas

caracazo1Oggi commetterò un peccato mortale agli occhi dei neo liberisti e dei bricoleur di una socialdemocrazia hobbistica costretti a vivere nell’immediato presente per salvare la faccia e le favole che si raccontano: vale a dire dare un’idea diacronica e dunque realistica delle cose. Nel caso specifico un breve e sintetico panorama della storia venezuelana per venire a capo di tutte le deiezioni informative da cui siamo oppressi e che evitano come la peste andare un po’ indietro nel tempo e scoprire i fili del burattinaio. Insomma una paletta per tenere pulito il prato della verosimiglianza. Bene si può dire che l’epicentro della la storia contemporanea del Paese latino americano si situi nel 1958 quando una sollevazione generale costrinse alla fuga il generale Pérez Jiménez che fungeva da caudillo fin dal 1952. dopo essere stato per quattro anni braccio destro del precedente dittatore. Grazie al petrolio il Paese aveva conosciuto un certo sviluppo, ma ad esclusivo favore delle classi dirigenti, mentre la gran parte della popolazione viveva in condizioni di estrema povertà, cosa che alla fine provocò l’insurrezione.

A questo punto il problema per l’elite venezuelana e i suoi protettori americani  era di continuare ad avere il controllo delle risorse e della ricchezza pur sotto le forme della democrazia rappresentativa. Si arrivò perciò al Patto di Punto Fijo, stipulato tra i partiti liberal borghesi AD e Copei, i militari, la Chiesa e le rappresentanze ufficiali di imprenditori e sindacati bianchi, nel quale si concordò una suddivisione del potere che escludeva le forze di sinistra vale a dire proprio quelle che avevano determinato la caduta della dittatura. E’ qui che si situa il nodo fondamentale della storia venezuelana tanto che la situazione attuale non è altro che il tentativo di ristabilire le basi fondamentali di quel patto, mandato all’aria da Chavez: proseguendo lo vedremo benissimo. La struttura superficialmente democratica in qualche modo non toglieva troppo potere alla razza padrona, visto che il diritto di voto si esercitava di fatto solo nelle maggiori città, mentre il resto del Paese, l’enorme rete di villaggi e piccoli centri ne era sostanzialmente esclusa sia per le difficoltà di comunicazione, sia per l’azione del notabilato locale che conservava in quelle condizioni una sorta di ius feudale sostenuto dall’esercito.

Anche in queste condizioni man mano l’isolamento di gran parte del Paese dalle città principali si attenuò e con esso anche certe situazioni estreme: la presenza dell’Unione Sovietica e di Cuba del resto consigliava di non spingere troppo sull’acceleratore reazionario. Tuttavia il fatto che i proventi del petrolio, quasi una monocultura,  andassero in poche mani e che solo le briciole finissero alla popolazione (l’80 cento viveva in situazioni di povertà estrema) rese il sistema precario e sensibile alle variazioni di prezzo dell’oro nero: così nell’89 una crisi economica drammatica costrinse il Presidente socialdemocratico Carlos Andrés Peres, a varare un rigido programma di austerità di stampo liberista, ubbidendo alle imposizioni del Fondo Monetario Internazionale (leggi Washington a meno che tu non creda nelle fiabe) che ormai comandava a bacchetta visto il declino del contraltare sovietico. Fu la goccia che fece traboccare il vaso: centinaia di migliaia di persone sfilarono dai quartieri poveri ai pendii di Caracas verso il centro della città: vi furono saccheggi, venne proclamato lo stato di emergenza e la rivolta fu sconfitta dall’esercito e dalla guardia nazionale che provocarono una strage. Si tratta di quello che è passato alla storia come Caracazo con i suoi 3000 assassinati (3500 secondo alcune fonti).

Si può dire che è lì, in quel massacro che non si vuole ricordare, ma che oggi verrebbe rivendicato come buono e giusto visto che si vuole tornare agli assetti che lo provocarono, si trovi la radice del bolivarismo e il segreto del successo di Hugo Chavez: infatti dieci anni dopo salirà al potere, cambiando la Costituzione in modo da creare meccanismi per favorire la partecipazione, i diritti sociali e la redistribuzione del reddito, cosa quest’ultima invisa per ovvi motivi alla elite locale e a Washington a causa della perdita di controllo che ne derivava. Tuttavia, visti i precedenti storici, si aspettò a vedere se Chavez potesse essere comprato o se le riforme costituzionali sarebbero rimaste solo una petizione di principio. Così non fu perché nel novembre del 2001 fu approvato dall’ Assemblea nazionale  un pacchetto di 49 decreti che iniziava a convertire in provvedimenti legislativi gli orientamenti fissati nella Costituzione e ad accelerare i cambiamenti strutturali necessari. A  questo punto, perduta la speranza che la nuova Costituzione rimanesse solo sulla carta, le forze conservatrici con riferimento a Washington abbandonarono l’attendismo e cominciarono un’azione di protesta che culminò nell’aprile del 2002 con il colpo di stato militare alla cilena quando lo stato maggiore dell’esercito minacciò di bombardare il palazzo presidenziale, se Chàvez non si fosse dimesso. Ricevutone un rifiuto, il Presidente legittimamente eletto venne arrestato e condotto in luogo segreto, mentre veniva instaurata una giunta di emergenza guidata, da Pedro Carmona Estanga,  presidente dell’associazione padronale, oltreché proprietario di alcune imprese petrolifere nazionalizzate che si autoproclamò presidente. Tuttavia milioni venezuelani scesero in piazza, circondarono il palazzo del governo e la caserma militare nella quale si presumeva che fosse trattenuto Chàvez, presero d’assalto le trasmittenti televisive e radiofoniche e le sedi dei giornali che avevano mediaticamente preparato il terreno al colpo di Stato. Reagirono, anche, le unità dell’esercito fedeli alla Costituzione. il golpe si dissolse in due giorni.

La battaglia però  era appena iniziata perché visto l’insuccesso della forza bruta si cambiò strategia e come in molti casi si passo a forme di assedio economico: nel dicembre del 2002 i manager  e molti degli impiegati della compagnia petrolifera di Stato ( Pdvsa) petrolifero operarono una sorta di serrata per indurre Chavez alle dimissioni e istituire nuove elezioni fuori dai termini stabiliti dalla costituzione. Per due mesi interi il Paese non estrasse una sola goccia di oro nero causando in sostanza un assedio per fame. In realtà la situazione si sarebbe potuta risolvere in pochissimo tempo, se non fosse stato per il fatto che l’accesso e la gestione del sistema informatico, assolutamente fondamentale per la produzione, era nelle mani della società Intesa per il 60% di proprietà della statunitense Saic che cambiò i codici di accesso in modo da impedire qualsiasi ripresa delle attività. La situazione fu risolta grazie all’apporto di quadri e tecnici provenienti da altri settori, ma un fermo così lungo aveva provocato gravi danni agli impianti che poterono essere rimessi in funzione solo con lentezza: il tasso di disoccupazione aumentò del 5%.

Paradossalmente questo tentativo di golpe attraverso lo strangolamento economico fece aumentare il consenso a Chavez e ridusse l’opposizione a inaugurare la tecnica della guerriglia urbana, tanto più che un successivo referendum per la destituzione di Chavez la cui organizzazione, come sappiamo, fu interamente pagata attraverso il  National endowment for democracy, fallì miseramente. Il resto è quasi cronaca visto che intendimenti e metodi sono rimasti gli stessi anche nel passaggio da Chavez a Maduro. Per l’attualità dei fatti confrontare   Cartoline dal Venezuela  e Cartoline dal Venezuela e dal mondo – parte seconda

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