L’unica cosa davvero significativa di queste elezioni in tempi di grande mobilità elettorale è palesemente un’altra, ovvero che il Pd anche in queste condizioni, per così dire favorevoli, non è riuscito a risalire la china perché come partito ha preso meno voti sia rispetto alle regionali del 2014 che alle politiche dell’anno scorso, arrivando a poco più dell’11 per cento. Un fatto clamoroso visto che almeno per cinque anni ha avuto le mani in pasta negli affari regionali. Tuttavia proprio questo dato è quello che rimane sullo sfondo, in alcuni casi nemmeno citato, come se fosse ovvio che i voti delle 7 liste civiche incluse nel cosiddetto centro sinistra e che hanno portato il grosso dei voti al perdente Giovanni Legnini, siano immediatamente riferibili in termini politici al partito di Renzi. Tutti sanno però che le liste civiche esistono solo per due fondamentali motivi: per fare da specchietto per le allodole oppure proprio per evitare di mettere il nome di un partito che non ha più appeal. Così il voto abruzzese è molto meno interessante di quanto invece non lo siano le analisi post elettorali, le quali chiariscono attraverso l’informazione portante di giornali e telegiornali unificati che non è Salvini, ma invece il Mov ad essere avvertito dalla razza padrona come un pericolo per lo status quo sia degli assetti locali che soprattutto per quelli nazionali, Un pericolo non tanto per una dirigenza 5S, nata dal nulla e che si muove a tentoni senza trovare il bandolo della matassa, quanto per l’animus del suo elettorato. E questo purtroppo accade anche in tanta parte dell’opinionarismo di sinistra che fa una gran fatica ad accorgersi o ad ammettere che in queste elezioni la sinistra è stata del tutto assente, magari rifugiata in quel 22 per cento in meno di votanti rispetto alla precedente tornata elettorale. E che si si rotola nella sua schadenfreude per il risultato del Mov, invece di pensare a come rientrare in gara.
L’insieme di questi dati dimostra ancora una volta che c’è una domanda politica che rimane insoddisfatta, che vi sono ampi spazi di non rappresentanza e tanta gente avverte chiaramente questo deficit senza tuttavia essere in grado di dare delle risposte conseguenti, non dico concrete, ma minimamente razionali tanto da rivolgersi a Salvini, magari con l’aiuto di persuasori manifesti, non considerando per nulla che il leader della Lega è stato e rimane un nordista secessionario, nonostante le strumentali aperture al Centro e al Sud che anzi gli servono proprio per portare a termini il progetto originario. Ma la confusione porta a darsi la zappa sui piedi, mentre quello strumento dovrebbe servire a dissodare il terreno per tentare di raccogliere qualcosa in futuro.