DkBJPrcXoAAqQa9Ieri mi sono preso una vacanza dalla cronaca incalzante, ma sempre più spesso nauseante per fornire un piccolo spaccato dell’analfabetismo contemporaneo e di come venga vezzeggiato, ma oggi torno in medias res occupandomi di una piccola rivoluzione americana che vede come protagonisti alcuni parlamentari eletti nelle tornata di medio termine. Si tratta di quattro o cinque democratici che hanno sconfitto a sorpresa i candidati forti del partito e si sono rivelati lontanissimi dalle sue linee tradizionali di neoliberismo compassionevole. Sono ormai un’altra cosa e soprattutto questa cosa comincia a far breccia nell’elettorato. La più brillante di questo gruppetto di avanguardia è Alexandria Ocasio – Cortez la quale viene costantemente avvolta da un involucro di anatemi sia da parte dei conservatori che del suo stesso partito. Apriti cielo poi quando Aoc – come viene chiamata vista l’impossibilità per un americano medio e bianco della Est Coast di pronunciarne il  nome – è la sua proposta di portare all’80 per cento l’aliquota massimale delle tasse per ricchi e super ricchi.

In mezzo alla canea liberista Aoc ha trovato però un alleato del tutto inaspettato in un premiato dell’economia (dire nobel è perpetuare una falsità) come Paul Krugman che sulle pagine del New York Times ha pubblicamente preso le difese della neo eletta, portando a testimonianza studi e analisi di due sacerdoti dell’ortodossia economica che asseverano non solo la totale correttezza di questa tesi, ma ne illustrano anche l’opportunità. Peter Diamond, altro premiato dalla banca di Svezia, insieme ad Emmanuel Saez, ha stimato che l’aliquota fiscale massima ottimale è del 73 per cento sebbene per qualcuno non sia ancora sufficiente e indichi come ha fatto la macro economista Christina Romer (docente di economia alla Berkeley) la cifra dell’80 percento: alla base di questa analisi ci sono due presupposti: quella di un’utilità marginale decrescente e quella dei mercati competitivi. Quella dell’utilità marginale decrescente è l’idea di buon senso secondo cui un dollaro in più vale molto meno in termini di soddisfazione economica per le persone con redditi molto elevati rispetto a quelle con redditi bassi. Lascio la parola a Krugman:

“Se diamo a una famiglia con un reddito annuo di 20.000 dollari una somma extra di 1.000 dollari, questo fa una grande differenza per la loro vita. Se invece diamo questi mille dollari a uno che ne guadagna 1 milione, probabilmente nemmeno se ne accorge. In termini di politica economica, questo significa che non dobbiamo preoccuparci degli effetti di una politica sui redditi dei molto ricchi. Una politica che rende i ricchi un poco più poveri interessa solo un piccolo gruppo di persone e avrà un peso impercettibile sulla qualità della loro vita, dato che saranno ancora in grado di comprare tutto ciò che vogliono. Inoltre in un’economia perfettamente competitiva, senza potere di monopolio o altre distorsioni  ognuno viene pagato nella misura della sua produttività marginale. Questo significa che, se vieni pagato 1000 dollari all’ora, è perché ogni ora in più del tuo lavoro aggiunge un valore pari a 1000 dollari ai risultati economici. In questo caso, tuttavia, perché ci preoccupiamo di quanto lavorano i ricchi? Se un ricco lavora un’ora in più, aggiungendo 1000 dollari all’ economia, ma viene pagato 1000 dollari per i suoi sforzi, il reddito combinato di tutti gli altri non cambia, o meglio cambia solo in funzione del gettito fiscale generato. Per dirla in poche parole l’aliquota fiscale ottimale per le persone con redditi molto alti è il tasso che riscuote il più alto livello di entrate possibile. Diamond e Saez hanno stabilito il tasso ottimale al 73 percento”. Una cifra che come si è visto appare fin troppo bassa secondo altri economisti.

Da notare che tutto questo nasce all’interno della teoria standard dell’economia capitalista di cui il neoliberismo è un’estensione radicale, ma proprio per questo indica un’inversione di rotta rispetto al reaganismo – thatcherismo con tanto di curva di Laffer che ha dominato gli ultimi cinquant’anni e che rappresenta, se vogliamo rimanere alla cronaca attuale, una sconfessione delle idiozie della flat tax amata ovviamente dai grandi ricchi, ma anche dai piccoli bottegai illusi di poter campare ancora una stagione mentre stanno per essere spazzati via dai leviatani che il neo liberismo privo di freni ha creato.  Del resto sommersi da lustri con tonnellate di paccottiglia, depistaggi, silenzi e frasi fatte, si ignora che le condizioni illustrate da Krugman sono esattamente quelle che c’erano dal dopoguerra sino ai primi anni ’70, ovvere quelle che hanno guidato il miracolo economico occidentale: gli scaglioni massimali delle tassazioni dirette si aggiravano dall’85 al 90% e in qualche caso anche oltre. Man mano che tali aliquote sono state abbassate l’economia, intendo l’economia reale, ha conosciuto un lento e costante declino, tanto che le due curve possono essere sovrapposte almeno fino a che il meccanismo non è andato tanto avanti da creare una crescita logaritmica della disuguaglianza.

L’illusione che il rendere i ricchi più ricchi avrebbe creato ricchezza per tutti è già svanita da un bel pezzo e si è trasformata nella bugia dell’elite e dei suoi valletti che la vogliono imporre politicamente e in maniera autoritaria attraverso una panoplia di strumenti, come ad esempio lo scippo di democrazia costituito dalla Ue e dalla moneta unica. Solo così essi possono avere la faccia di indicare il spacciare per futuro un vicolo cieco.