spione1Anna Lombroso per il Simplicissimus

C’è da aver paura quando il gergo prende il posto della lingua, soprattutto quando un idioma diventa gergo, come è successo con l’americano promosso a linguaggio che accomuna  per dirla con il dizionario Treccani  “sette religiose o politiche, mercanti, persone dello stesso mestiere, e anche vagabondi, malviventi, carcerati, ecc. allo scopo di evitare la comprensione da parte di persone estranee al gruppo,  o che,  per ragioni tecniche o scientifiche o per affettazione, comprende parole e locuzioni esclusive a questi ambienti o categorie”  in modo che chi lo usa sia gratificato dall’appartenenza a una cerchia e vi si riconosca.

Nemmeno il custode della nostra civiltà superiore e della nostra tradizione può nulla contro quell’invasione che evidentemente gli è invece gradita. Non c’è ancora una divisa acconcia, ma è sicuro che anche lui si sente un influencer, parola abusatissima di questi tempi, tanto che recentemente uno dei più prestigiosi e carismatici comunicatori universali ne ha riconosciuto i tratti e la funzione di suggestione nella Madonna, in qualità di testimonial e reclamizzatrice appena un po’ meno accreditata e seguita, si direbbe, della Ferragni.

Tutti aspirano a convincere anche con una certa esuberanza, a fare accoliti, a fare proselitismo e quindi ad arruolare forzatamente nelle   fazioni e negli eserciti in campo. Tutti i frequentatori dei social, delle chat di incontri, combinano quel residuo di fede che attribuisce facoltà salvifica alla confessione, sostituita dagli ebrei con le sedute dalla psicoanalista, raccontando più che se stessi quello che si vorrebbe essere, protetti da nickname e foto arcaiche e ritoccate, con una festosa indole a farsi gli affari degli altri, indagando, confrontando i dati per investigare meglio, e infine sottoponendo i malcapitati interlocutori all’anatema e alla condanna.

Eh si, l’anonimato aiuta, come sa chi, è il caso di questo blog bloccato da Facebook dove si sono smaterializzati post e commenti e pure le condivisioni dei lettori del social, è stato sottoposto a restrizioni e censure per aver commesso la colpa di esprimere contenuti e pensieri considerati offensivi per qualche bizzoso appartenente alla community. Non potendo fare di meglio qualche aspirante influencer magari intrinseco di emigrati in Venezuela che vedono di buon occhio i condizionamenti dell’influencer globale, qualche soldatino in forza alla compagine governativa di oggi o del passato, qualche lobbista de noantri che vuole che gli arrivino più presto e su ferro le rosettes de Lyon, schifando il nostro più saporito strolghino, hanno scelto la strada della denuncia dei nostri articoli anche del passato in una sorta di damnatio memoriae, fatto abbastanza inconsueto visto che la rete è l’unico posto dove è ammesso e anzi promosso il ricordo imperituro (lo ha raccontato ieri il Simplicissimus qui:  https://ilsimplicissimus2.com/2019/02/01/facebook-un-neonato-grande-come-king-kong/ ).

Avremmo dovuto capirlo subito, invece di attribuire la misura censoria all’indole commerciale di Facebook intenzionato a farci entrare nel mercato delle opinioni tramite inserzioni a pagamento e spazi pubblicitari: la denuncia, la delazione anonima sono da sempre capisaldi su cui si regge qualsiasi regime, anche oggi che non ci sono più le portinaie di una volta e gli spioni di caseggiato. E che a aziende e amministrazioni tocca l’ingrato compito di monitorare gattini e “je suis…” per trovare opportune motivazioni per ingiusti licenziamenti, sospensioni punitive, rappresaglie e congedi non abbastanza facilitati e legittimati da riforme e leggi, come d’altra parte ha voluto sancire con recente sentenza proprio la Cassazione che ha dato ragione al datore di lavoro di una impiegata part time colpevole di abuso di social definendolo un “comportamento in contrasto con l’etica comune”, mentre pare non esserlo assumere con contratti anomali, che non prevedono garanzie e diritti.

È che la tecnologia ha anche assunto le funzioni di “giuseppone ‘o spione”, nelle aziende occhi artificiali controllano e informano in tempo reale, sono stati introdotti dispositivi che replicano le prestazioni dei braccialetti elettronici, ci sono telecamere a ore che controllano i tempi di permanenza nei bagni e registrano le conversazioni davanti alle macchinette del caffè in modo da saggiare il sentiment dei dipendenti. Tutte attrezzature queste illegittime ma rese legali da una serie di provvedimenti adottati nel quadro di trasformazione del lavoro in servitù e delle conquiste in erogazioni arbitrarie e discrezionali.

Ma anche se la tecnica aiuta, c’è sempre e comunque il delatore, promosso come mai prima a soggetto di pubblico servizio grazie alle nuove frontiere del contrasto alla corruzione e ai reati nella pubblica amministrazione attraverso  la creazione della qualifica di whistleblower,  il “segnalatore” cioè, quel dipendente pubblico che  protetto dall’anonimato si premura di denunciare condotte illecite di interesse generale e non di interesse individuale, di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, come il caporeparto, il sorvegliante, la caposala, il caporale, quei ruoli cioè nei quali gente ricattata e intimidita si rifà sui sottoposti, li ricatta, intimidisce e minaccia a sua volta per rivendicare e esercitare una malintesa superiorità o per prendersi una miserabile vendetta o per sentirsi arbitro e padrone delle vite degli altri. Ma come anche come il ladro o il malavitoso che confessa e mette in mezzo i complici, con il sollievo di liberarsi la coscienza o con quello più voluttuoso di tirarsi appresso altri straccioni, altri bulli, altri malfattori. Piccoli, però, perché invece i grandi criminali sono più spietati ma anche più solidali, si danno manforte, si sostengono e pagano correità, favoreggiatori, fiancheggiatori, conniventi e delatori a prezzo di svendita.  E in fondo non c’è Stato che non abbia aggiunto alle azioni di contrasto di mafia, terrorismo e criminalità il ricorso a informatori, più o meno pentiti, quasi tutti comunque e in varie forme, mercenari. E dietro ogni strega bruciata, ogni indemoniato infilato nel pentolone della sacra Inquisizione c’è di sicuro una pia beghina e un fervente credente che ha voluto dimostrare così la sua professioni di fede.

Figuriamoci poi se, come sempre dietro ai dogmi,  si sente il frusciare  delle banconote, e perfino se in margine al proprio selfie si moltiplicano gli i like.