cerusiciAnna Lombroso per il Simplicissimus

Fate conto di essere dentro Addio alle armi, e proprio nell’ospedale dove la bella e trepida Catherine porta soccorso ai soldati feriti a Caporetto. Infatti ce n’è uno giovane che si dispera dal dolore. Il chirurgo deve tentare l’operazione,  chiama Catherine e “anestetico”, grida, ma l’infermiera scuote la testa: è finito. Allora il vecchio medico inietta dell’acqua distillata nella vena del paziente: ecco la morfina ti farà bene, dice, e subito il volto del ferito mostra sollievo, gli occhi si chiudono pacificati e non saprete se si è assopito o è morto, dolcemente.

È l’effetto placebo. E anche se non siete là, nel romanzo a lungo vietato in Italia per i suoi contenuti disfattisti, quell’effetto lo dovreste conoscere bene, perché ogni giorno in qualità di pazienti ve ne somministrano un po’ sotto forma di gocce, supposte, iniezioni in pieno contagio della peste, non tanto per alleviare le vostre pene e gli spasimi delle ferite, né tanto meno quelli dell’arto fantasma (che in questo caso potrebbe essere il domani mutilato, la speranza, la dignità, il coraggio) ma per quietarvi, indurre un pacifico letargo mentre infuria il morbo. Oppure, meglio ancora, persuadervi che mentre siete sotto cura c’è qualcuno che pensa e agisce al vostro posto e che per il vostro bene vi propina quell’acqua distillata ai cui benefici siete obbligati a credere come a una mano santa, come a una carezza materna, o a uno sbuffetto paterno. O, peggio, farvi lamentare per un male che nemmeno c’è, così vi distraete dall’acciacco vero.

Come non credere che siano sotto l’effetto del placebo quelli che intorno al 27 gennaio si consolano che nell’orrore di tanti anni abbiano trovato posto e funzione redentiva alcuni “giusti” con la funzione di riscattare masse di scimmiette intente a non vedere, non sentire, non parlare, così come si appagano oggi che sindaci in precoce campagna elettorale si mostrino con la fascia della disubbidienza e qualche presidente di regione, magari già in veste di candidato, inizi la procedura di ricorso alla Corte Costituzionale del decreto del più empio dei ministri, aspirando a far dimenticare che nulla di ciò è stato fatto in occasione di altre leggi razziali del passato anche recente, né tantomeno con i codici Minniti che estendeva il concetto di “razza” da emarginare e cui togliere prerogative a tutti i soggetti a rischio di qualsiasi etnia e colore, purché poveri, come ebbe a dire Cassius Clay che smise di essere negro quando diventò miliardario. E così come si sentono a posto con la coscienza quando qualche cittadino per bene accoglie gli espulsi due volte, dalla loro terra e perfino dai centri di “accoglienza”, così da far sentire tutti italiani brava gente anche se non si è regolarizzata la badante, se non si è messo il casco in testa al muratore pagato in nero, se gli unici stranieri che si pensa non svalutino la proprietà e non offendano il decoro del rione sono gli americani caciaroni e ubriachi ospiti del B&B del terzo piano.

E non vi pareva un placebo l’erogazione della paghetta di 80 per un popolo di ragazzini scapestrati e mal cresciuti, in modo che si balocchino mentre  i grandi possono scialacquare in profumi di gran soldi per banche criminali, opere criminali, aerei e bombe criminali, che tanto l’unico diritto/dovere concesso è quello di consumare, di subire ricatti per conservare il salario da spendere per quel succedaneo della vita che è la sopravvivenza, resa più amabile da qualche “capriccio” una tantum per adulti e anche per piccini abilitati a ricevere immeritatamente il bonus “cultura”.

E in cosa avranno intinto quella zolletta di zucchero per farci digerire i grandi eventi e i grandi interventi che riassumono in sé tutti i paradossi più insensati: lavoro sotto forma di volontariato, mangiatoie e greppie laddove le mense delle scuole sono una palestra di esclusione e non si arriva a fine mese e si ripristina l’usanza del tazzone di caffelatte la sera, stadi per circensens quando manca il pane, alta velocità per il trasporto di beni di lusso: più assorbenti che tartufi, e die pacchi di Amazon, mentre nella capitale della cultura c’è una stazione come monumento inutile ma non ci sono binari né treni, il Mezzogiorno è tagliato fuori, propaggine dell’Africa che non va aiutata a casa sua, i pendolari di ogni latitudine vivono ogni giorno un’odissea faticosa e umiliante.

E non cominciate a sospettare che sia un placebo quello che vi stanno facendo assumere,  se invece di immaginare il ripristino di diritti e conquiste del lavoro cancellati, se invece di mettere le basi per una politica dell’occupazione che, tanto per fare un esempio, impegni professionalità e tecnologie, risorse umane e economiche nella salvaguardia del territorio, nella riqualificazione del tessuto abitativo e dei trasporti delle città, della tutela dei beni artistici e del paesaggio, l’unica cosa che si concede, ormai inevitabile. E se invece di continuare a premiare con aiuti e agevolazioni lo spirito di iniziativa di imprese campate di assistenzialismo, inclini a reati accertati in materia di sicurezza e compatibilità ambientale, solite a esportare capitali e a delocalizzare aziende dalla sera alla mattina, mobilitate unicamente a investire nel tavolo da gioco della roulette finanziaria per appagare l’avidità degli azionisti, intente a propinarci la menzogna che siamo tutti vittime dell’egemonia dei robot per non sviluppare invece quei servizi, vecchi e nuovi, dall’assistenza all’ambiente, consumati dalla inesausta guerra contro il welfare, per non introdurre tagli dell’orario di lavoro, per non favorire lo sviluppo di attività incipienti, ma ancora poco valorizzate, si adotta necessariamente, obbligatoriamente una misura, quel “reddito” inevitabili nel momento in cui la disoccupazione e la precarizzazione generalizzata mettono a rischio la domanda e dunque i profitti , ma che dall’altro sancisce la fine del senso stesso del lavoro come valore, come espressione di talento e garanzia di autonomia, in una società talmente dominate  dalle élite e posseduta dall’ideologia del profitto e dalla teocrazia del mercato che l’unica vera libertà è quella della sopravvivenza assicurata non più da diritti e regole, ma dall’elemosina.

Una volta si diceva attenti a non prendere caramelle dagli sconosciuti, poi si consigliò anche di non farsi appioppare incautamente i sogni. Adesso non ci sono più concessi nemmeno quelli, quindi attenti anche al placebo.