yakimaAvvicinandosi il centenario della scomparsa di Max Weber che cadrà l’anno prossimo cominciano ad apparire e ad annunciarsi le prime iniziative di commemorazione a cominciare da Micromega che agisce in contropiede analizzando il contenuto di una celebre conferenza tenuta proprio nel gennaio del 1919, ovvero “La politica come professione”. Weber com’è noto è stato il fondatore della sociologia come la intendiamo oggi e  il grande sistematore della politica borghese o meglio del suo dover essere, tanto che alcuni concetti intorno alla democrazia o al mestiere della politica ci appaiono quasi come banalità tanto sono diventate basiche, almeno nella loro vulgata. Non per questo sono meno attuali, basti pensare proprio alla professione politica dove mancanza di ideali e di responsabilità si traduce in “vanità” che spinge a preoccuparsi soltanto “dell’impressione” che si riesce a dare. La politica spettacolo e il leaderismo erano già sotto accusa prima che il rozzo mercatismo americano li  elevasse a virtù della democrazia spettacolo.

Presso il grande pubblico che si interessa di queste cose, più o meno qualche migliaio di persone,  Weber è però celebre per aver legato e collegato  lo spirito del capitalismo all’etica protestante, il che in sostanza forniva una nuova benedizione laico religiosa al profitto e ai suoi strumenti, dunque allo sfruttamento. Quell’idea, nel suo schematismo, era in in un certo senso straordinaria perché divideva l’europa in due grandi aree quella “molle” del cattolicesimo e quella “forte” del protestantesimo, più o meno attestate sul limes romano (con l’eccezione di aree intermedie come la Francia a nord della Loira e l’Inghilterra), ma a quanto pare vivissime anche oggi. Vabbè, il capitalismo in realtà è nato in Italia, ma in ogni caso prendo spunto dalle incipienti celebrazioni  per estrapolare una delle più note tesi di Max Weber secondo il quale lo stato moderno nato dalle rivoluzioni borghesi è “un’impresa istituzionale di carattere politico nella quale – e nella misura in cui – l’apparato amministrativo avanza con successo una pretesa di monopolio della coercizione fisica legittima, in vista dell’attuazione degli ordinamenti” . Insomma l’ordinamento giuridico in sé non è sufficiente a garantire lo spazio dell’organizzazione sociale se poi la coercizione può essere esercitata da altri soggetti. In definitiva è proprio la coesistenza dello statuale, ossia del dominio,  con il politico che permette a certa condizioni l’esistenza di quella che chiamiamo democrazia.

Tralasciamo anche il fatto che questa concezione ha avuto il merito per certi versi, ma anche il torto per molti altri di sostituire la concezione dello stato fondata sulla triade popolo, territorio, sovranità con una molto più tecnicistica di ordinata giurisdizione del dominio esercitato dei ceti economici dominanti ( Weber non si sogna di negarlo) e di controllo dello stesso tramite la forza, che pare essere proprio il cuore del dibattito attuale. Ci vorrebbero molte pagine e molti post per dipanare la questione coinvolgendo anche Kelsen e Carl Schmitt, quindi mettiamola sullo sfondo e concentriamoci sul monopolio della violenza da parte dello stato e dunque anche della politica che è il fondamento della democrazia.  E’ facile vedere come questo aspetto della questione abbia imboccato strade diverse e sia effetto e causa del declino delle democrazia. Come al solito il pesce comincia a puzzare dalla testa e così vediamo come negli Usa, la violenza in ogni sua forma legale sia diventata eminentemente privata: moltissimi distretti di polizia fungono ormai principalmente come appaltatori e brocker di società private. Il fenomeno è andato ben oltre la formazione di security private da parte di grandi gruppi e multinazionali che hanno migliaia di mercenari ai loro ordini, ma dilaga anche come succedaneo della forza pubblica, con contratti opachi e continui passaggi di personale. Molti dei casi di uccisione ingiustificata vedono per protagoniste proprio queste formazioni parapoliziesche (la Gci Security è la più nota) tanto da sfociare in alcuni casi non soltanto nel tragico, ma nel grottesco: un caso di scuola è quello di un ragazzo di S. Louis rimasto invalido a causa di un ingiustificato pestaggio da parte di questi sgherri privati, mentre si trovava insieme al padre. I due erano riusciti a chiamare il 911 ma sono arrivate altre guardie private che hanno dato manforte agli aggressori con la benedizione del distretto di polizia che ha deplorato e basta.

E’ pur vero che ad onta della vanvera dei telefilm tutta la saggistica storica che riguarda le forze di polizia nel “grande Paese” concordano sul fatto che esse sono sempre state caratterizzate da elevati tassi di corruzione, estrema brutalità e additate come “fonte di tensioni sociali e razziali” oltre ad essere tra le meno efficienti del mondo, come ad esempio l’Fbi che ha un numero di casi irrisolti superiore soltanto a quello della polizia federale messicana. Ma in questo caso non si tratta di mele o interi cesti marci: si tratta invece del fatto che le polizie private sono entità economiche che agiscono in funzione del profitto privato e che quindi ancorché siano in apparente accordo col potere pubblico, rappresentano una frattura del patto sociale del potere, abolendo la mediazione necessaria alla legittimità. Si sono formalmente legali, ma non legittime e di fatto non solo arruolano per pochi soldi delinquenti reclutati nelle prigioni con risultati che possiamo immaginare, ma  effettuano arresti ingiustificati per rispettare i contratti sia con la polizia, sia con le prigioni private, sia patti scellerati con questo o quel giudice e via dicendo. Non è un fenomeno marginale: le agenzie di sicurezza sono oggi oltre 16 mila e dispongono di 1 milione 200 mila agenti contro i 900 mila pubblici e come effetto immediato hanno quello di creare due giustizie, anzi due ingiustizie, una per i ricchi e l’altra per i poveri.

E’ chiaro che siamo molto oltre il patto sociale democratico, come del resto accade per tutti i campi di surrogazione da parte di soggetti economici e di certo Weber inorridirebbe. Ma state tranquilli che tra breve dovremo inorridire anche noi perché il fenomeno dilaga anche in Europa a cominciare dalla Gran Bretagna: le celebrazioni ci saranno ma dal medioevo prossimo venturo.