colonialismo-in-africa-la-spartizione-dell-africa Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ripensare (i rischi finanziari globali e le piattaforme dell’economia), reinventare (i sistemi sociali), rimodellare (le reti di sicurezza sociale), trasformare (la sanità e la cura delle persone), ristabilire (la fiducia), innovare (gli obiettivi per il pianeta), costruire (mercati sostenibili). Sono gli slogan del World Economic Forum di Davos  inaugurato ieri sera, indovinate un po’, con una cena di gala. I “leader di settori diversi”, così li chiama il Corriere, diranno la loro su come raggiungere un’architettura mondiale più inclusiva e sostenibile.

Ci vorrebbe lo psichiatra per spiegare come ancora che ha diffuso il contagio si assuma il ruolo di medico, come chi sta preparando il suicidio assuma la funzione di salvatore. Ci vorrebbe lo psichiatra per dare un senso al comportamento della fortezza europea che non è più disposta a fornire aiuti, che paga i muri degli stati canaglia e finanzia le pratiche di respingimento verso quelli immeritevoli per collocazione geografica e probabile surplus do comuni radici cristiane,  e in contemporanea con le stragi del fine settimana, convoca tavoli di ponderata riflessione con i ministri degli esteri dell’Unione europea-Unione africana i ministri per un confronto sugli interessi comuni: pace e sicurezza, commercio, investimenti e integrazione economica del continente, oltre a migrazione e mobilità, istruzione e formazione professionale.

Ci vorrebbe lo psichiatra in platea davanti al nostro  teatrino, mentre si muovono sulla scena poliziotto cattivo, sempre il solito, e poliziotto buonista, intesi a persuaderci che ci siano due anime nel governo, chi mostra i denti sollevandoli dal menu di cui ci dà conto quotidiano e si compiace della mano di ferro e chi invece dice di rappresentare l’indole accogliente del paese, chi denuncia il pericolo per ordine e sicurezza minacciati dalle invasioni e chi invece si dedica a spezzare le reni alla Francia, unica colpevole, si direbbe, del mal d’Africa, insomma del colonialismo rapace. Tutte e  due le anime si uniscono  comunque per dimostrarci che possiedono una qualità inestimabile: quella di essere parimenti  invise all’establishment. E sembrerebbe così a leggere la stampa a guardare la tv, a dare ascolto all’eco flebile della peggiore opposizione che si sia mai manifestata e che vorrebbe farci intendere che siamo tutti vittime di un inatteso incidente della storia, fulmineo e imprevedibile come una saetta che ha colpito un paese sano, generoso e civile risvegliato bruscamente dai ragli degli asini al governo.

Ci vorrebbe lo psichiatra anche per loro che rivendicano la loro estraneità alla cricca dell’ordine costituito e intanto  agiscono per esservi ammessi e annessi a tutte le filiere di interesse del sistema, restringimento delle garanzie e dei diritti, sostituiti dal ricorso a contentini sotto forma di elargizioni e mancette striminzite, resa e sottomissione nel segno della continuità all’imperio Ue,  dismissione di impegno sui temi dell’energia, resa totale ai comandi padronali sulle grandi opere.

E servirebbe lo psichiatra anche al popolo, visto che quelle due anime sono la rappresentazione allegorica della palese schizofrenia: 60 milioni di eroi del web che si compiacciono dei salvataggi compiuti dalle nostre navi e che magari mettono la faccia del sindaco disubbidente sul profilo dei social, che si vantano di non aver scelto il maniaco seviziatore materializzatosi sotto forma di ministro, avendo però  votato invece chi ha deciso la nostra partecipazione collaborativa a campagne belliche coloniali e predatrici in difesa della nostra civiltà superiore e dei suoi bisogni irrinunciabile, compiacendosi del dinamismo e dell’ardimento imprenditoriale delle aziende italiane  compresa la dinastia dei golfini scellerati non contenta di rubare in casa,  beandosi delle parole e dei fatti  dei ministri di Renzi e Gentiloni che andavano a stringere accordi con despoti sanguinari per favorire le nuove forme della cooperazione, oggi denigrate da qualche avanzo del partito,  ridendo delle tende e delle urì  di Gheddafi, sollecitando la salutare invasione del suo paese – ben vista allora anche da Rossanda, che si sa il tiranno non era democratico né femminista,  e godendosi la sua fine cruenta per mano delle forze speciali francesi, che in fondo se la meritava,  pronti a rieleggere il suo compagno di capricci sessuali, oggi stupiti che gli scampati per caso preferiscano annegare al ritorno in Libia.

E penso a quelli che piangono giustamente le vittime di attentati in Europa rimuovendo che la Siria da anni ogni giorno  vive lo stesso lutt o, a quelli che issano sul poggiolo la bandiera della pace ma ritengono che l’appartenenza alla Nato sia obbligatoria e inderogabile, a quelli che pensano sia normale sganciare bombe e poi mandare le sentinelle dell’Onu ( quel covo di briganti come Lenin chiamava la società delle Nazioni che lo precedette) e la Croce Rossa, a quelli che, Blair insegna, è vero che abbiamo compiuto atti efferati, si compiacciono, ma abbiamo un grado di libertà che ci consente di ammetterli.

Perché dunque stupirsi di Di Maio terzomondista che sottrae alla Lega il monopolio del tema immigrazione, spostando il riflettore sui fattori di rischio dai migranti a chi ne causa la partenza per una assatanata avidità predatoria:  “Se la Francia non avesse le colonie africane, che sta impoverendo, sarebbe la quindicesima forza economica internazionale, invece è tra le prime grazie a quello che combina in Africa”?

Perché stupirsi di Fassina (ancora democratico se non sbaglio, quando nel dicembre 2017, a parlamento sciolto, mentre il Pd manifestava in piazza contro Orban, veniva approvato l’invio di 500 militari italiani in Niger, paese ricco di uranio) che si chiede: “Quando chiederemo ai governi europei di fermare le politiche neocoloniali, perseguite spietatamente come fa la Francia?”.

Perché stupirsi della Confindustria umanitaria che preme per allentare i vincoli posti al controllo dell’immigrazione per favorire la manodopera straniera in qualità di  esercito industriale di riserva e a basso costo.  dubbio.

Perché stupirsi dei partiti progressisti, allineati con la destra per cercare consenso interclassista  grazie all’equivoco spregevole  che si possano governare i flussi migratori senza compromettere le attuali pratiche imperialiste in cui siamo impegnati da protagonisti o subalterni tramite compagnie di ventura variamente mercenarie, impegnate in azioni belliche o nella creazione di bisogni e mercati indotti mediante la colonizzazione anche dell’immaginario e la  distruzione delle economie locali. Perché stupirsi dei 5Stelle antimperialisti che tacciono sul caso Descalzi, quello che volevano far dimettere per via della continuità della sua gestione con quella di Scaroni e che sembrano non essere al corrente che è in corso il più grande processo per corruzione internazionale in cui sia mai stata coinvolta l’industria petrolifera mondiale e che prende il nome dall’OPL 245, la concessione petrolifera acquisita da Eni e Shell nel 2011 dalla Nigeria, per lo sfruttamento del più grande giacimento offshore di petrolio presente in Africa. Tutti gli attori della cordata, Eni e Shell incluse, sono sul banco degli accusati per aver sottratto dalle casse dello stato nigeriano oltre un miliardo di dollari che doveva servire per pagare la concessione per lo sfruttamento del giacimento di petrolio al largo della Nigeria, finito invece nelle tasche della nomenclatura di politici e imprenditori locali. Sarà questo che si intende per “aiutarli a casa loro”?

Ci vorrebbe lo psichiatra anche per noi irriducibili che gridiamo al vento che l’immigrazione è un problema, ma per i padroncini che vogliono attribuire a loro la nostra nuova povertà, che riguarda il razzismo, sì, ma quello sociale perché mette in concorrenza proletari a basso prezzo che vengono da fuori e proletari espropriati di conquiste e diritti, incazzati e ricattabili, che riguarda cultura e ignoranza, è vero, ma perché il razzismo dei poveracci è deplorato e condannato, quello del capitale tollerato e promosso come motore di sviluppo e custode di valori della tradizione e della civiltà.