stadio Anna Lombroso per il Simplicissimus

Mai avrei pensato per raccogliere informazioni su un’opera molto controversa di dover attingere alla stampa di settore, ben oltre l’autorevole Gazzetta dello Sport: il Romanista, Forza Roma, info, il Roma.net., perché numeri e documentazioni sono secretati e in barba allo streaming tutto si svolge nelle stanze degli arcana imperii.

Mai avrei pensato che anche in questo contesto saltasse fuori una “manina” pronta a inquattare o estrarre un pizzino dalle carte riservate. Invece avrei dovuto prevederlo,  troppi sono gli interessi che si agitano intorno al futuro Colosseo, quelli della finanza, del cemento, della rendita immobiliare e pure quelli della propaganda che non si accontenta di ricevere con tutti i disonori il reprobo, ma vuole grandi liturgie di massa con tanto di gladiatori, pollice verso degli imperatorini e dell’imperatoressa nell’anfiteatro che avevano giudiziosamente osteggiato prima dell’assunzione al governo nazionale e della città.

Pare che i fatti si siano svolto così: prima che arrivasse sul tavolo  dell’Assessore Luca Montuori il parere finale del Politecnico di Torino, incaricato di effettuare lo studio di fattibilità dello Stadio della Roma a Tor di Valle,  sarebbe circolato uno stralcio di una bozza di relazione con su la scritta “riservato” che, si dice, anticipasse alcune perplessità in merito all’impatto dell’opera sul traffico. Va a sapere chi ci ha messo lo zampino: antagonisti anarco insurrezionalisti  No-Stadio? Ultrà laziali? Costruttori, società, banche concorrenti? Oppure, l’ipotesi non è peregrina, banche coinvolte preoccupate di impegnarsi concretamente in un intervento di quelli che giovano più quando sono solo sulla carta, e che presenta controindicazioni di carattere ambientale oltre che economico (ne abbiamo scritto molte volte, anche qui: https://ilsimplicissimus2.com/2018/09/08/gli-ultra-del-cemento/).

E malgrado il Comune abbia chinato la testa su tutto, cucinando un progetto fatto delle frattaglie di quello originario che aveva tanto entusiasmato Marino in cerca di un’impronta da lasciare ai posteri con la sua piramide personale, ma che  sia pure con il proclamato tagli del 50%  prevede una cubatura di 550 mila metri cubi (il 60% solo sul Business Park, con eliminazione delle tre torri di Libeskind) rispetto ad un Piano Regolatore che ne autorizzava al massimo 330mila (di cui lo stadio rappresenta meno della metà), realizzando quindi poco meno di quei 600mila che costituivano  la proposta iniziale del costruttore Parnasi e del presidente della AS Roma Pallotta, prima della dissennata disponibilità del marziano a Roma.

La sindaca Raggi commenta così il suo cammino verso la redenzione costruttiva,  “abbiamo ridotto le cubature del 50%, con edifici a ridotto impatto ambientale realizzati con gli standard energetici più avanzati al mondo e un superamento del rischio idrogeologico della zona…unificheremo  due strade molto importanti, Via Ostiense e Via del Mare, un’opera attesa da anni,  prevista, del resto, anche nella precedente versione del progetto”.

La sindrome si- terzo Valico,  si-Tap, si – Triv, ha colpito ancora e in forma più morbosa, perché in questo caso i poteri forti non hanno incontrato resistenze, il ricatto non viene esercitando con l’intimidazione per sanzioni, multe, risarcimenti onerosi, macché, si adotta invece il modello di governo dell’urbanistica e della pianificazione ridotte a contrattazione negoziata con la proprietà privata, sia sotto forma di immobiliaristi, costruttori, finanza allegra di fare affari a spese nostre, in nome di un superiore interesse generale. Perché, tanto per fare un esempio, dimezzare la superficie business park (il mega centro destinato ad ospitare locali direzionali e commerciali) comporta la diminuzione degli investimenti dei proponenti in infrastrutture direttamente o indirettamente funzionali all’impianto in qualità di “compensazioni”.

La spesa per le  opere pubbliche a carico dei privati ammonterà a circa 120 milioni di euro, un bello sconto di 75 milioni a beneficio di As Roma e Eurnova S.p.A. (la società di Parnasi di nuovo nel mirino dell’autorità giudiziaria per illeciti finanziamenti ad associazioni legate a Pd e Lega), rispetto alla quota stabilita nella delibera della Giunta Marino.  L’unificazione di via del Mare e via Ostiense impegnerà i 38 milioni ipotizzati per lo svincolo ma che adesso dovranno servire per tutta la tratta, per gli interventi sul fosso del Vallerano a elevato rischio idrogeologico serviranno oltre 12 milioni, più del doppio del primo stanziamento pronosticato,   il potenziamento della  Roma- Lido richiederà altri 40 milioni  e 5 andranno all’esecuzione  di un ponte ciclopedonale tra la nuova stazione “Tor di Valle” del trenino e lo stadio  mentre per  la realizzazione del parco fluviale sul Tevere, inizialmente considerato opera accessoria  vengono assegnati  14 milioni di euro. Non si farà dunque il Ponte sul Tevere in favore del futuro Ponte dei Congressi pagato con fondi pubblici (circa 150 milioni) stanziati dal Cipe; e decadono, che strano!,  alcuni interventi nel quartiere della Magliana giudicati “non pertinenti allo stadio”.

Da tempo sappiamo che l’investimento per lo Stadio è frutto di un’operazione “volta al finanziamento dei costi preliminari di sviluppo connessi al progetto ‘Stadio della Roma’ mediante la sottoscrizione di un contratto di finanziamento, per un ammontare massimo pari a 30 milioni, con Goldman Sachs International”, la banca americana con cui abitualmente lavora Pallotta e che già è la principale finanziatrice dell’As Roma che copre gran parte dell’esposizione bancaria del club calcistico, mentre Unicredit agirebbe soltanto come “fronting bank”, cioè come istituto creditore solo sulla carta ma non nella sostanza, tanto che nei mesi scorsi si è parlato del tentativo dell’amministratore delegato Mustier, che non amerebbe il calcio tanto da revocare la sponsorizzazione della Champions League, di rientrare dei debiti del club.

Era da immaginarlo, lo Stadio diventa l’allegoria della definitiva consegna dei nuovi calabraghe ai poteri forti locali e nazionali. E un modello esemplare e ripetibile per altre iniziative indirizzate a togliere fondi per opere e azioni di pubblica utilità per investirli in opere e azioni di interesse privato. Il format è chiaro: gli strumenti urbanistici vengono piegati alle esigenze degli imprenditori per sanare i bilanci facendone pagare il peso alla comunità. La scelta del sito avviene tramite una selezione opaca per identificare quello che più si attaglia alla produttività della rendita fondiaria. Le autorizzazioni sono “sponsorizzate” dalla rassicurante presenza di istituti finanziari, gli stessi che così possono rientrare dei debiti in sofferenza. I costi  dell’operazione devono essere taciuti per dare spazio solo ai calcoli immaginari sulle ricadute sociali dell’insediamento, occupazionali e turistici. Fin dalla prima fase progettuale deve partire una campagna promozionale con tanto di prestigiosi testimonial, opinionisti un tanto all’etto, impegnati a criminalizzare gli stolti oppositori che contestano la magnifica impresa.

Non è l’unico esempio dal quale anche senza Qatar si capisce che il calcio si regge sui mattoni finanziari, sulla speculazione, sui regali alla rendita, sugli accordi opachi con costruttori pronti a edificare nuovi falansteri commerciali che resteranno con tutta probabilità vuoti, ridotti dall’ultima pietra a archeologia immobiliare. E che ormai nulla ha a che fare in questo teatro o anfiteatro che sia con la passione sportiva, il gioco, come non l’avevano le lotte così attuali tra leoni e gladiatori e la pretesa di far dimenticare la mancanza di pane coi circenses.