bambi Anna Lombroso per il Simplicissimus

Vorrà forse la sua reintroduzione nelle scuole perché aspira a essere meglio introdotto in quelle cerchie oscure e influenti dove Il Grembiule è uno dei simboli fondamentali: “abbigliamento principale dei Massoni durante i lavori di Loggia, ha forma rettangolare sormontato da una bavetta triangolare. Quello di Apprendista è di pelle bianca, preferibilmente di agnello, simbolo dell’innocenza e della purezza, doti indispensabili per essere ammessi alla Loggia celeste presieduta dal Grande Architetto dell’Universo”?

Vorrà imporlo in tutti gli ordini e gradi per imitare l’Avvocato  che alla Fiat lo rese obbligatorio più dell’orologio sopra il polsino, così anche le sue potentissime segretarie lo sfoggiavano, nero con collettino di pizzo bianco? Oppure a stimolare la sua fantasia da guardone è stato l’ammaestramento del Cavaliere con le sue cene eleganti? tutti in maschera come in una Histoire d’O a Zagarolo, con le festose forosette bardate in uniformi da infermierine dei film dei Martino o da pompiere  senza allusioni, o, peggio da scolarette da punire con le totò sul culetto?

O avrà trasferito sui bimbi e ragazzi la sua ossessione per le divise che si sta diffondendo ad altri attori in commedia, in attesa di un guardasigilli in tocco toga e ermellino, un ministro della Salute in camice e stetoscopio al collo come una onorificenza, Toninelli col berretto e fischietto da capostazione, la Trenta in mimetico che a galloni sul tailleur in occasione della parata ci aveva già pensato la Pinotti, Moavero Milanese in feluca e polpacci inguainati nella seta bianca sugli scarpino, tanto per farci capire che ormai le istituzioni sono una festosa pagliacciata da non prendere troppo sul serio?

L’interpretazione più fosca che possiamo dare però dell’iniziativa del bravaccio all’interno di reintrodurre l’impiego della divisa scolastica negli istituti italiani è che muova da un intento pedagogico e ugualitario, che praticato da lui suona come una beffa. Lo vede come un’occasione di parità, e, ha detto, “eviterebbe simboli di diversità”,  che per quella bastano colore della pelle, credo religioso e censo. Infatti è probabile che nella Buona Scuola dove i genitori sono invitati a partecipare alle spese di gestione proporzionate ai loro mezzi, e che non è stata “sospesa” malgrado le promesse elettorali nel timore che diventi “buonista”, succederà come con un’altra divisa dell’obbligo, la veste per la prima comunione, che sancisce più che mai differenze tessili, ornamentali: vedremo rampolli griffati, collettini di trina, tombolo e chiacchierino, divise invernali di Loro Piana scendere dai suv nei giorni di pioggia e malinconici virgulti proletari i in tetri panni, addirittura multietnici, dismessi da fratelli maggiori.

Oddio una divisa vale l’altra e non è meno dannosa e inquietante l’ipotesi di rinnovare gli eserciti in erba pronti all’arruolamento in guerra o nel precariato di balilla e piccole italiane dei giorni nostri, delle formazioni di ragazzini resi uguali dai diktat delle grandi firme con magliette con su le principesse di Frozen o i supereroi dei manga, marciare ben calzati con gli irrinunciabili stivaletti Dr.Martens e  Gucci, le  sneackero Nike , di solito fabbricate da coetanei di altro emisfero.

E non è certo una novità che tutti, convertiti da cittadini in consumatori oggi frustrati da nuovi bisogni, siamo stati più o meno messi in divisa, gli uomini con l’uniforme maschile del manager, magari dell’accoglienza o del lievito madre nelle pizzerie della City, magari addomesticata dai jeans, le donne a loro imitazione con la giacca d’ordinanza ingentilita si fa per dire dai rischiosi leggins, con la cravatta evocativa dei nodi scorsoi del racket sovranazionale, l’autoreggente sugli anfibi a consolidare il cliché di una  femminilità ostentata in vendita, e di una seduttività senza piacere riportata alla sfera della guerra dei sessi.

È sospetto  il ripristino forzato di usi e costumi per riconfermare l’efficacia di tradizioni che altro non erano che obblighi, imposizioni, manifestazioni repressive e regressive, o, ma non è meglio, l’ostensione  dell’appartenenza a corporazioni, caste, compagnie e famiglie. Come lo è l’intimazione ad adeguarsi a una somatica di regime, bocche e zigomi gonfiati, riporti e tinture, cerone e lampade per riconfermare l’iscrizione al partito dei vincenti e dei sempregiovani.

E peggio mi sento se  l’aspirazione a valorizzare le proprie radici e ad “abolire le differenze”  nasce così  per cancellare identità, inclinazioni, talenti, fantasia, per ridurci fin dall’infanzia allo status di figurine, di soldatini, di robot in miniatura, in attesa di crescere per metter su la divisa di magazzinieri, pony, piloti di droni al desk, centralinisti di call center, ma pronti anche a indossare quella di milizie addestrate per l’esportazione militare della nostra civiltà superiore e del nostro stile di vita.