41jlomqhqgl._sl1024_Alla festa dell’Unità del 1991 mi riempii di gadget dell’appena scomparsa Unione sovietica, qualche orologio, spille falce e martello, un berretto da capitano dell’aviazione popolare e altre cose di questo tipo diventate cimeli in poche ore visto che la festa ormai del Pds e non più del Pci si era aperta  praticamente in contemporanea con l’atto formale di morte dell’Urss.  Ciò che è accaduto dopo lo sanno tutti e in un certo senso non lo sa nessuno, ma una cosa è sicura: quei gadgets originali sono rimasti per pochi anni sul mercato, ben presto sostituiti da patacche fabbricate ad hoc chissà dove per speculare sulla nostalghja. Ma lo stesso destino è capitato a molti di quei gruppi e di quelle aree che per qualche tempo hanno continuato caparbiamente a riferirsi al comunismo, poi ostinatamente a un progressismo sempre più vago e collaterale al potere per finire col trasformarsi in neoliberisti con rabbia che forse è la definizione più sintetica dell’attuale sinistrismo.

Europeismo accanito oltre che insensato e neo antifascismo da barzelletta allineato alle direttive del capitale che considera fascismo tutto ciò che esula dal pensiero unico, sono le stigmate inconfondibili di queste risacche della storia, proprio come le teste di Lenin fabbricate in Pakistan a 0,4 centesimi l’una e rivendute a 30 euro: simbolizzano alla perfezione tutta la traiettoria che dal culto del grande rivoluzionario arriva allo sfruttamento del lavoro infantile e alla selvaggia speculazione di mercato, conservando tuttavia la medesima icona. Gratta gratta, dietro la retorica, i giri di parole e le facili indignazioni, si scopre che essi sono dalla parte del governo ucraino paranazista perché non si può stare con Putin, sono artatamente dubitosi sulla Siria perché è riuscita a sottrarsi dopo anni di stragi e di menzogne all’imperialismo americano, sempre grazie al malvagio Putin, sono pieni di amorosi sensi per Juncker e la sua cricca, si impietosiscono per i migranti sopra le navi, senza minimamente chiedersi perché mai siano lì: certo sarebbe imbarazzante constatare che ci sono per sfuggire a qualche sanguinario regime instaurato dal neocolonialismo occidentale per meglio depredare le risorse dei loro Paesi. Meglio evitare il discorso e fare sfoggio di umanesimo di sintesi: singolare destino per chi un tempo andava sempre a monte e ora si rifugia sotto il livello del mare, nella grande depressione neoliberista, accontentandosi delle ombre.

Questo mi ricorda un racconto di fantascienza di molti anni fa: un astronauta atterra su Marte, scopre le rovine di un’antica e avanzatissima civiltà le cui tecnologie sono rimaste intatte nel sottosuolo, ma al momento di ripartire per dare alla terra la buona novella, un guasto impedisce al modulo spaziale di ripartire, Allora cerca di sopravvivere più che può con le scorte rimaste di cibo e ossigeno, esplora le stanze di un antico palazzo dove ancora sono rimaste vestigia di sistemi per la distribuzione di alimenti, prova ad assaggiare il cibo marziano nella disperata speranza che possa nutrirlo, ma viene preso da nausea e convulsioni. Il tempo passa rapidamente e ormai l’astronauta è allo stremo, quando comincia a sentirsi un po’ meglio, riesce di nuovo a camminare e nel momento in cui la sua tuta si strappa constata che riesce persino a respirare, riassaggia il cibo nel palazzo e questa volta non ha reazioni di disgusto, anzi scopre che gli piace e che lo sfama, mentre le poche gocce di acqua rimaste lo repellono. Così pensa di essersi in qualche modo adattato a un ambiente così ostile, che la tecnologia dell’antica civiltà abbia fatto questo miracolo ma solo in seguito e soltanto per caso scopre l’orrenda verità: si è lui trasformato in un marziano. E allora l’oligarchia, la diseguaglianza e i suoi strumenti monetari e istituzionali, il mercato, il profitto, la democrazia svuotata, l’imperialismo, la repressione gli appaiono finalmente condivisibili purché rimangano i lacerti  dell’antico essere, finché si vedono i reperti del modulo abbandonato a ricordare chi si era.