imageFaccio seguito al post di ieri  Siam tre piccoli porcellin  per concluderlo con l’attualità e per tentare un azzardato paragone che comprende due millenni. Nel post si parlava delle manipolazioni culturali, mediatiche e politiche portate avanti durante la guerra fredda e fino ai nostri giorni operate da Washington attraverso tutti i suoi strumenti, Cia in prima fila. Oggi prendo spunto da uno sceneggiato televisivo di questi giorni, mal imbastito sul filo di un  romanzo “L’amica geniale” che è quasi un prototipo di banalità narrativa oltre ad essere zeppo di cliché all’americana. L’autrice Elena Ferrante è, come si sa un nom de plume, dietro cui molto probabilmente non si nasconde un singolo personaggio, ma un pool di editor come è desumibile dallo stile quasi impersonale che esprime, ma qui possiamo cogliere qualche interessante collegamento: la Ferrante “collettiva” è divenuta davvero nota in Italia solo dopo essere stata celebrata in Usa, probabilmente a ragione della sua aderenza ai temi e alle modalità di racconto ormai smaccatamente hollywoodiane,  la sua casa editrice storica, la E/O è nata nel ’79 stampando libri di autori dissidenti dell’Est europeo, anche non di primo piano e continuando a farlo anche dopo la caduta del muro, nonostante la non eccelsa capacità di scrittura, dedicandosi poi ad autori collaterali come Carlotto e finendo per trasferire  il cuore delle sue attività a New York  con il nome di Europa Edition. Infine lo sceneggiato Rai è un acquerello, anzi un presepe come è stato fatto osservare: prodotto dal figlio di Paolo Mieli che è a capo della  Wildside (unita alla Fandango nell’impresa), diretto dal figlio di Maurizio Costanzo, ma di fatto riconducibile alla Freemantle anglo americana alla quale si deve il battage a tappeto che ha preceduto il prodotto, confezionato per il grande pubblico e dunque smussato da ogni residuo aculeo, sia pure artificiale in maniera che possa essere degustato dovunque.

Insomma ci sono tutte le impronte che riconducono a quella intellighenzia atlantica e a quella sinistra liberal che ha fatto da apripista al neoliberismo anche se adesso appare contorta dentro le sue contraddizioni, assertiva più che persuasiva, sonnolenta e allarmata dalla perdita di prestigio. Ma il discorso non può certo riguardare questo singolo caso, va necessariamente  ampliato perché da qualche decina di anni le occasioni di leggere o vedere qualcosa di non dico di memorabile, ma di intelligente, qualcosa che non sia chiosastico o rammemorativo, che esprima speranze che vadano al di là dei destini individuali, insomma qualcosa di forte, di corale e di nuovo, sono diventate più che rare, inesistenti. Il declino in tutti in mezzi espressivi  è stato rapido per non dire drammatico e coincide in pratica con la fine della guerra fredda e la vittoria del pensiero unico dunque di un vero dibattito e di tensioni ideali: non soltanto le persone ne sono banalizzate, ma anche i personaggi e la scrittura che si deve adeguare ai canoni prestabiliti.

Questo mi ha fatto venire in mente un fenomeno del passato che mi ha sempre colpito: il rapidissimo declino della letteratura imperiale romana dopo i tempi d’oro della repubblica e la breve parentesi augustea con l’esorbitante ruolo politico e sociale via via assunto dallo spettacolo, dal panem et circenses: l’epoca di Lucrezio, Virgilio, Ovidio, Catullo, Tibullo si trasformò rapidamente, in pratica nel corso di mezzo secolo, in un deserto attraversato solo da alcune meteore di letteratura satirica o storiografica oltre che dalle Metamorfosi di Apuleio. Sono il primo a dire che da un punto di vista storico queste comparazioni sono impossibili e in ogni caso forzate e ovviamente anche questa lo è, ma non è detto che i tempi di declino non presentino analogie e che il venire meno della fantasia sostituita dalla fantasy  e della capacità espressiva surrogata dalla performance, vada di pari passo col venir meno delle idee e delle tensioni ideali, delle differenze di ambiente sostituite da emozioni omologate di sapore commerciale oltre che da cliché variamente intrecciati secondo i moduli di un artigiano seriale. Pensiamo solo all’Ottocento e al Novecento e alla loro esplosione e pensiamo all’oggi. Se guardiamo alla formazione dell’impero romano nato di fatto anche se non in termini istituzionali dopo la seconda guerra punica con l’egemonia nel mediterraneo e dunque con l’apertura a culture straordinarie e a quella dell’impero anglosassone nato dopo la guerra dei Sette anni, i tempi grosso modo possono essere sovrapposti: il declino coincide con la massima espansione. E  all’inizio non è un declino della forza, ma della capacità di attrazione.