Possibile che nessuno si sia accorto di niente? Altro che se è possibile sia perché gli accurati controlli di cui si fanno vanto le voci del padrone, sono semplicemente un’invenzione, sia perché i suoi pezzi erano tutti in assoluta sintonia con la narrazione occidentale e delle sue elites più radicate e influenti. Relotius infatti deve la sua fama essenzialmente ai servizi sul medio oriente, sul quale chiunque può dire ciò che vuole, basta che sia ciò che vuole il potere: i reportage su come l’Isis rapisse ed educasse i bambini o sul ragazzino che sfida Assad scrivendo slogan sui muri di Damasco, spopolavano nonostante fossero inventati di sana pianta o forse proprio per quello: la solerte cucitura di suggestioni prese qui e là esprimeva infatti in maniera quasi perfetta lo spirito del tempo senza doversi confrontare con la realtà. L’informazione trovava in forma depurata da ogni ostacolo reale il messaggio che intendeva diffondere. Poi è successo qualcosa: con l’elezione di Trump e il cambiamento di umori generalizzato, l’editore di riferimento generale per così dire, la fonte di ispirazione narrativa si è indebolita. Ciò che ha fregato Relotius è stato un servizio sulle ronde alla frontiera Usa – Messico, che esistono già da anni, ma che sono tornate di attualità con l’annuncio dell’allungamento del muro di frontiera: un suo occasionale collaboratore locale ha cominciato a sospettare qualcosa e alla fine si è scoperto che gli intervistati non esistevano e che persino la foto di uno di essi, era di tutt’altra persona e per giunta già pubblicata precedentemente dal New York Times col vero nome.
Quasi per una forma di ideale contrappasso la caduta di Relotius, più divo, più immagine che giornalista giunge insieme all’annuncio del ritiro delle truppe Usa dalla Siria, ma in ogni caso gli assetti di potere siano stati in qualche modo determinanti nell’ esaltare e poi nel condannare la sua narrazione lo si desume anche dal fatto che sul pezzo incriminato ( la cosa si poi è allargata agli altri 14 reportages) è intervenuto anche l’ambasciatore americano a Berlino che in una lettera a Der Spiegel dice :”E’ evidente che siamo le vittime di una campagna di pregiudizio istituzionale” ricordando alcuni servizi del giornalista su Trump e le opinioni della popolazione americana. Insomma una batracomiomachia tra facce di bronzo. Una cosa è comunque certa: che sull’informazione ufficiale la verità è sempre oggetto di scambio o di contrattazione e che a causa di tale contesto si vanno sempre a cercare fonti che possano confermare la narrazione di partenza, trascurando tutto il resto, anche quando quelle stessi fonti sono palesemente inconsistenti o inquinate o create ad hoc. A questo punto non vedo il motivo di prendersela con Relotius: perché dover faticosamente tirare a braccia una realtà recalcitrante affinché segua i binari stabiliti, quando è molto meglio inventarsela di sana pianta, rendendola così più efficace? Non è questo che accade con la quantità soverchiante di fiction che hanno un segreto scopo educativo e persuasivo? Se narrazione deve essere è meno ipocrita inventare che manipolare.