imm Anna Lombroso per il Simplicissimus

Certi falò sono a orologeria come certi attentati, per far capire chi comanda e per persuadere tutti della obbligatorietà di ricorrere a soluzioni indesiderabili.
Mentre c’è un fervido accanimento nel dipingere la Raggi affacciata al balcone del Campidoglio che suona la lira contemplando l’incendio di Roma, mentre le tifoserie si combattono a colpi di responsabilità del passato e dell’oggi, all’appello manca un soggetto che non c’è più o forse c’è, che ha cambiato nome, che prima era quello che aveva più competenze e più funzioni di programmazione e coordinamento nella gestione dei rifiuti: le province.
Abolite? No, a essere aboliti sono stati gli elettori: nelle varie scadenze per il rinnovo dei nuovi istituti, grazie alla riforma Delrio, a votare non sono stati i cittadini residenti ma i consiglieri comunali e i sindaci.
Abolite? No, aboliti sono i quattrini per lo svolgimento delle funzioni. La riforma Delrio ha saccheggiato i fondi dell’istituzione cancellata per finta, che scarseggiano per le mansioni ancora previste: viabilità, edilizia scolastica, ambiente. I fondi per quel 13% di scuole a carico delle Regioni sono scesi del 20% anche se le scuole in questione sono aumentate di un quinto, quelli per la manutenzione ordinaria delle strade sono scesi del 68%, quelli per la manutenzione straordinaria dell’84%.
Abolite? Macché, oggi sono in vita 76 Province, 10 città metropolitane e 350 organismi intermedi tra Ato (ossia Ambito territoriale ottimale) rifiuti, Ato idrici, autorità di bacino e consorzi di bonifica. Aboliti semmai sono gli effettivi della polizia provinciale, incaricata di vegliare sull’ambiente, passati da circa 2700 a meno di 700.
Abolite? No, l’istituzione resta vegeta ma morta, insieme ai “costi della politica” per citare una formula non più in voga nemmeno presso il governo in carica. Gli organismi intermedi sono cresciuti: la norma ne prevedeva al massimo una novantina, oggi sono quasi cinquecento. Perché da un lato non sono stati aboliti gli ambiti territoriali, dall’altro, ad esempio le Regioni a statuto speciale le hanno sì ridimensionate, creando però 60 Unioni comunali e quelle a statuto ordinario, vogliono fare lo stesso rivendicando aiuti perché non riescono a garantire i servizi essenziali per 130 mila chilometri di strade e 5.200 scuole nelle quali studiano 2 milioni di ragazzi.
Da quando ne venne decisa la rottamazione, pronuba di quella del Senato secondo il disegno del piccolo bonaparte, mi sono convinta che se proprio si doveva chiudere un carrozzone, preferibile sarebbe stato tenersi quei sistemi territoriali, urbani, economici, sociali e, in parte, politici omogenei, e cassare invece le regioni e con esse quell’ideale aberrante di “federalismo” che ha affetto in forma bipartisan tutti i partiti e non solo la Lega, volto a favorire il trasferimento e spesso la duplicazione di compiti e attribuzioni e di conseguenza promuovere la moltiplicazione dei centri e dei gruppi di potere locali.
E infatti il continuo duellare dei contendenti: Comune di Roma, col pesante trascorso che ha ereditato e l’altrettanto pesante incapacità di oggi, Regione inadempiente ( Dal 2013 – anno di chiusura della discarica di Malagrotta, il piano regionale del Lazio non è stato ancora aggiornato e la Regione ammette di non riuscire ad accogliere le tonnellate di indifferenziato prodotte da cittadini e imprese) della quale abbiamo notizia solo per le reiterate candidature del presidente a tutte le poltrone e per l’altrettanto reiterata abitudine di contribuire al finanziamento di qualsiasi polpettone televisivo sia pure ambientato in Val d’Aosta, dimostra quanto sarebbe stato e sarebbe ancora nevralgico il ruolo delle province in ordine al controllo e contenimento del consumo di suolo, alla politica della casa, alla promozione dei trasporti collettivi, alla tutela del paesaggio e dell’ambiente.
Con una dirigenza così non sorprende che a Roma si guardi come a una malata senza speranza di guarigione e che muore a poco a poco nel disincanto dei suoi abitanti, dimentica di aver sopportato ben altri incendi, ben altri Lanzichenecchi e pure i Barberini, ben altra la peste. E se non sorprende che l’unica attività imprenditoriale che abbia brillato per dinamismo e spirito di iniziativa sia stata quella malavitosa, non stupisce nemmeno la scarsa partecipazione dei cittadini, il disinteresse, che li accomuna alla politica, per un “decoro”, che sia qualcosa di più dell’idrante e del manganello da tirar fuori contro senzatetto di tutte le provenienze.
Non a caso se il Centro Italia è al di sotto della media nazionale (51,8%) per la raccolta differenziata, Roma precipita più giù ancora. Secondo l’Ispra, quando vediamo conferimenti impropri come frigoriferi, si vede che è carente anche l’educazione ambientale dei romani. Il che contribuirebbe a rendere irraggiungibili i traguardi ambiziosi del Piano regionale del Lazio.
Ma è qui che per usare un modo di dire romano, particolarmente adatto alla situazione, er più pulito c’ha la rogna. La chiusura epica di Malagrotta che dobbiamo al sindaco venuto da Marte, che forse la monnezza pensava di conferirla sul pianeta rosso, ha dato inizio alla fase dell’export, con i rifiuti fatti salire al Nord, interno ed estero, con costi pesantissimi per la collettività, mentre commissario prima, giunta 5stelle e Regione si contendevano il primato dell’incompetenza, dell’irresponsabilità e della inettitudine, quelle “doti” funzionali appunto all’allestimento dello stato di emergenza cui è doveroso rispondere con misure straordinarie, soggetti autoritari e elusione delle regole. Che si sa che il vuoto politico e decisionale lascia il posto appunto all’illegalità e al bastone senza carota.
La Loggia (Torino), Grosseto, Follo (Sp),Pomezia, Brescia, Viterbo, Fusina, Battipaglia, Angri, Corteleone, Ostra, Baranzate e Bovisasca ( in Lombardia sono stati 17 nel corso dell’anno e in Veneto dove da molti anni si moltiplicano i capannoni misteriosamente bruciati) la cartina degli incendi in impianti di trattamento e smaltimento fa vedere che sono equamente distribuiti sul nostro territorio e fa sospettare che la maggior parte serva a risolvere situazioni spinose, tanto più che, come ha denunciato Gianfranco Amendola, spesso sono collegati ad altre attività del settore che hanno subito o un’ispezione o un sequestro o un altro incendio e fanno capo a persone già note per illegalità connesse al trattamento e alla raccolta dei rifiuti che aspirano a approfittare del contributo economico erogato dai consorzi obbligatori di settore, grazie al quale le imprese “riceventi” possono trovare più conveniente incamerare il contributo e disfarsi in qualche modo del materiale senza sostenere i costi che la sua lavorazione/smaltimento legale comporterebbero.
Ma è altrettanto probabile che il falò di Roma sia stato provvidenzialmente appiccato per indurre un ripensamento ragionevole sulla opportunità di fronteggiare l’emergenza con qualche tempestivo e confacente inceneritore (ne avevo scritto qui: https://ilsimplicissimus2.com/2018/11/17/politica-spazzatura/) caldeggiato tra l’altro dal socio di maggioranza della coalizione di governo, perorato tradizionalmente da Forza Italia, semanticamente riconvertito da esponenti Pd, che lo sdoganano chiamandolo termovalorizzatore e mettendo in luce i profittevoli benefici.
Si sa chi si scalda le mani a questo focherello, come ha sottolineato la Commissione Parlamentare Antimafia parlando di burattinai e di “consorterie armate” non solo di zolfanelli ben ammanigliate con imprese “legali” e figure di amministratori e politici che occhieggiano da dietro le quinte del casinò degli investimenti pubblici promessi per far pulizia (80 milioni stanziati; nel 2015 la Commissione ecomafie aveva denunciato lo sperpero di ben 785 milioni in bonifiche rivelatesi poi inutili, anzi dannose). Così quello che non è Terra dei Fuochi, lo può sempre diventare, a Milano, Roma, Marghera dove il sindaco la ritenuto opportuno smantellare l’Osservatorio Ambiente e Legalità, reo di aver denunciato insieme a comitati civici e sindacati il rischio che tutta l’area diventi un territorio di inceneritori e trattamento rifiuti, in mano al business delle ecomafie in una regione guidata dalla Lega “che si colloca al primo posto in Italia per il traffico illegale dei rifiuti”.