Dagli anni ’80 in poi le opinioni pubbliche occidentali sono state allattate con la curva di Laffer la quale navigava in quel territorio grigio fra l’ovvietà e l’inconsistenza statistica, che le ha permesso di penetrare facilmente nelle menti diventando un’ottusa verità: non a caso Stiglitz ne parlava come di “una teoria scarabocchiata su un pezzo di carta” e una celebre apologo dice che il suo successo deriva dal fatto che può essere spiegata a un politico in mezz’ora permettendogli di parlarne per mesi. Sta di fatto che questa oscena curva ha dato lustro alla reaganomics, cioè al neoliberismo pop e ha costituito il pulpito dal quale si sono abbassate le tasse ai ricchi invertendo il processo di redistribuzione dei redditi che era stato il mantra del modello Keynes del dopoguerra. Oggi se ne vedono i frutti.
Tutto questo è stato favorito dalla tendenza degli economisti all’astrazione insensata e alla ricerca di leggi universali sul modello della fisica, ma ci sono altre curve o meglio diagrammi che senza voler aver un carattere predittivo o impositivo sono molto più significativi e rendono conto delle realtà complesse. Alcuni anni fa, sei per la precisione, è uscita la curva di Mishel( dal nome dell’economista che l’ha creata) , la quale analizza l’andamento della produttività e delle retribuzioni a partire dal 1948 in Usa e in altri Paesi occidentali. Come si può vedere dall’immagine di apertura del post (doppio clic per ingrandirla) , fino agli anni ’70 l’aumento della produttività è cresciuto di pari passo con le retribuzioni, (entrambe ovviamente depurate dall’inflazione) mentre successivamente i due sentieri, le due linee cominciano a divergere per poi creare un vero baratro: i redditi dei lavoratori non direttivi crescono tra il 1950 ed il 1070, del 100% , ma da allora restano fermi mentre la produttività cresce di un’altra volta e mezzo. Le risorse che si sono “liberate” in questo modo sono finite in poche mani determinando in sostanza una situazione in cui lo 0,1% della popolazione incassa da sola il 36%, di questi redditi sottratti al lavoro e finiti in capitale, l’1% si è aggiudicata il 60 per cento del totale e il 10% , il 91, 6%. Naturalmente si tratta di medie che non dicono tutto: per esempio il fatto che il lavoro è stato man mano spogliato dei suoi diritti, che la precarietà ha acquisito un carattere generalizzato e dunque il reflusso della distribuzione dei redditi non ha provocato solo difficoltà, ma un impoverimento generale e talvolta drammatico, dopo la prima grande crisi del 2008 che secondo i neoliberisti nemmeno avrebbe potuto esserci.
Sebbene la curva di Mishel sia stata negletta dall’informazione maistream per ovvie ragioni, essa non di meno è illuminante se si fa caso all’asse temporale: l’inizio del fenomeno anche se ancora in modo poco evidente e appena accennato avviene dopo la prima ondata della “soggettivizzazione” politica che si è espressa nella rivolta studentesca cominciata nel ’68 dalla quale si origina la sinistra per così dire asociale di oggi, è proseguita e si è irrobustita con l’esperimento cileno portato avanti da Pinochet sotto la direzione dei Chicago boys ed è esplosa con il duo Reagan -Thatcher. Ma l’apice dello stallo retributivo, corrispondente addirittura a una diminuzione in termini reali si è avuta tra la seconda metà degli anni ’80e la prima dei ’90 in corrispondenza prima del collasso dell’Unione sovietica e poi con gli accordi di Maastricht nonché con la preparazione della moneta unica in Europa, segno evidente della direzione fin da subito data a questa impresa. Insomma non siamo di fronte a uno scarabocchio da vendere nella macelleria sociale, al posto del filetto mancante, ma del sintomo di una evoluzione generale che oggi ha raggiunto l’apice e comincia a produrre i suoi anticorpi. Ora capite perché si insiste tanto sulla produttività: perché non sono ancora stanchi di mungere
Si può leggere:
https://comedonchisciotte.org/forum-cdc#/discussion/100424/salvini-di-maio-ganassa-come-renzi-tsipras-e-bagnaisavona-peggio-di-varufakis
Le politiche economiche attuate in Occidente negli ultimi decenni hanno contribuito non solo alla polarizzazione della ricchezza tra il vertice e la base della piramide sociale mettendo a rischio di sopravvivenza la classe media, ma la competizione per il controllo della tecnologia e dei mercati finanziari ha trasferito grandi quote di potere dai governi nazionali alle istituzioni finanziarie e industriali.
Le prime determinano le politiche finanziarie degli Stati e gli investimenti pubblici, soprattutto nelle infrastrutture, mentre le seconde agiscono sul sistema industriale, il mercato del lavoro, la distribuzione delle strutture produttive e lo sviluppo tecnologico del Paese.
Nello stesso tempo, mentre l’Occidente a guida angloamericana ha trasferito parte significativa della produzione in Cina e India ha comunque mantenuto uno stretto controllo sulla proprietà intellettuale, tanto che i Paesi occidentali detengono ancora circa l’80% del patrimonio tecnologico mondiale.
Inoltre, l’Occidente controlla in modo quasi totale, tramite i suoi intermediari di Wall Street e Londra, la “tecnologia finanziaria” che permette di “lavorare” il capitale accumulato dai Paesi produttori dell’Asia in modo da incorporarlo in attività finanziarie e collocarlo sui mercati.
La globalizzazione ha aumentato in modo esponenziale la potenza dei centri finanziari americani ed europei al punto che 37 banche occidentali gestiscono circa il 50% di tutte le attività finanziarie mondiali.
Questi centri finanziari hanno esteso la propria influenza sui mercati, hanno finanziato lo sviluppo tecnologico e gli apparati industriali determinando la distribuzione del potere sui mercati delle merci e dei servizi.
Quindi l’elite finanziaria occidentale controlla tutti i fattori chiave, potremmo dire il software, dell’economia mondiale, mentre alla Cina e ai Brics ha lasciato solo l’hardware e ai ceti subalterni dell’Occidente bassi stipendi e precariato.
C’e pero un dato che il simplicissimus omette, ovvero l’andamento dei profitti
la produttività ed i salari crescono dalla fine della guerra fino al 1970, ma non i profitti, essi tendenzialmente calano dalla fine della guerra fino agli anni 70
proprio negli anni 70 i profitti diventano troppo bassi, appunto per far rialzare i profitti nasce negli anni 70 la rivoluzione neoliberista
con la rivoluzione neoliberista i profitti cresocno di nuovo, ma i salari diminuiscono e la produttivita aumenta meno che nel passato
ciò significa che il neoliberismo è giunto come risposta al calo del saggio e della massa dei profitti, ed il neoliberismo davvero ha fatto rialzare i profitti, ma non grazie alla tecnica e alla produttività ma solo grazie all’aumento dello sfruttamento
infatti la tecnica e la produttività fino ad un certo limite storico permettono di avere merci meno costose, venderne di piu, ed aumentare i profitti (massa dei profitti)
ma oltre un certo limite storico ( anni 70 circa) la tecnica e la produttività hanno un costo così grande che gli investimenti relativi non possono essere recuperati e remunerati nei tempi di un ciclo tecnologico, prima che ciò avvenga i capitalisti devono spendere di nuovo per la tecnica (pena rimanere fuori mercato), ed i profitti sono impossibili
Ecco che a partire dalla metà dei 70 i capitalisti hanno investito di meno nella tecnica ( comunque lo fanno perchè sono in concorrenza), ed hanno puntato a recuperare profitti aumentando lo sfruttamento, mettend in concorrenza masse di lavoratori in regioni diverse del mondo, insomma la globalizzazione
dalle parole del simplicissimus si capisce che egli ritiene che gli aumenti dela produttività siano sinonimo di salari e profitti alti ( a vulgata meinstream), ma ciò e vero solo fino ad un certo momento storico poi è
vero l’inverso
Fa piacere che il simplicissimus finalmente parli sulla scorta di dati empirici e non per narrazioni inverificabili, i suoi dati sono anche giusti (produttività e salari in crescita fino agli anni 70). Ma sono incompleti, se si aggiungono quelli sull’andamento dei saggio di profitto si vede che le spese tecniche crescenti abbassano i profitti fino agli anni 70 (profitti che restano comunque sufficienti a remunerare il capitale). agli anni 70 in poi il saggio di profitto è troppo basso è non e piu possibile remunerare il capitale, la cosa viene compensata investendo di meno nella tecnica e aumentando lo sfruttamento, sicchè il saggio di profitto cresce di nuovo, ma sulla base di un capitalismo asociale ed in via di disfacimento ( i complotti non c’ entrano niente)
Una volta che si guarda ai dati empirici, bisogna guardare anche a quelli dell’andamento dei profitti ( after tax e scremati dalle integrazioni finanziarie) . Solo così comprende perche gli stati detassano le imprese e regalano loro miliardi in tutto il mondo, e si spiega l’ipertrofia della finanza, sono conseguenze ell’esaurimento storico del capitalismo. Il capitalismo progressivo, oppure keynesiano, non potra piu tornare, hai voglia spesa keynesiana, se aumenta la domanda aumenta pure il capitale da applicare per soddisfare tale domanda (spese tecniche per gli impianti) e resta il problema della non remunerazione di tale capitale che si va ad applicare prima delle spese necessarie per il successivo ciclo tecnologico
I dati sull’andamento dei profitti si trovano nei sii degli istituti di statistica di tutti i paesi capitalisticamente avanzati, eccellenti per accuratezza queli dell’agenzia statistica Usa. Studi approfonditi del saggio di profitto sono svolti in tutto il mondo da studiosi non marxisti, che devono tenere in conto l’andamento del saggio di profitto per cercare delle cure impossibili per il capitalismo, di fronte alla evidenza empirica dell’andamento in calo di questo saggio essi si sono arresi ed hanno elaborato la teoria della “stagnazione secolare” ( ad es lawence summers, accademico ed ex ministro de tesoro usa).
In campo marxista si possono citare studiosi come Andrew Kliman, Micheal Heinrich. Magari si passasse ad una disamina empirica dei dati, il sovranismo serve proprio a non arrivare a questo, ma il capitalismo o viene superato o ci porta tutti alla distruzione senza ritorno
” i salari restano fermi mentre la produttività cresce di un’altra volta e mezzo.le risorse che si sono “liberate” in questo modo sono finite in poche mani determinando in sostanza una situazione in cui lo 0,1% della popolazione incassa da sola il 36%, di questi redditi sottratti al lavoro e finiti in capitale, l’1% si è aggiudicata il 60 per cento del totale e il 10% , il 91, 6%. ”
Ma non sono le risorse liberate dagli aumenti di produttività che finiscono in poche mani. Gli aumenti di produttività nel momento storico cui si riferisce questo passaggio del simplicissimus (anni 70), sono aumenti di produttività che già significano spese preliminari non remunerabili per la loro enormità. Le risorse liberate sono quelle liberate con lo sfruttamento, e lo si può dimostrare sottrendo ai profitti di questa fase gli aiuti pubblici e la rapina che porta i salari sotto la sopravvivenza, e si vede che i profitti sono pari a zero.
Era diverso nel passato, quando decurtate delle voci suddette (che peraltro non erano significative), i profitti restavano comunque significativi. (tutto statisticamente verificabile, è il calcolo del saggio di profitto)
Il simplicissimus non capisce che gli incrementi di produttività significano salari e profitti piu alti solo fino ad un certo momento storico, poi la produttività vede a monte una spesa così grande che non è remunerabile nei tempi di un ciclo tecnologico, dopo del quale si spende di nuovo per le tecnlogie
Ho letto che nei prossimi anni proseguirà in modo sostenuto il processo di automazione e robotizzazione delle aziende con perdita massiccia di posti di lavoro.
Ritieni questo fenomeno inevitabile e in che modo verranno sostenuti i costi da parte delle imprese?
Credi che si verificherà un’ulteriore selezione darwiniana con concentrazione ancora più verticistica delle ricchezze?
Composizione organica del capitale.