paesedisc Anna Lombroso per il Simplicissimus 

Se ogni tanto viene da dire povero Paese, oggi possiamo dirlo due volte. Si chiama Paese infatti una località della pingue e godereccia Marca trevigiana ma che da anni è condannata a fare da pattumiera al Veneto, oggi alla ribalta per un fatto di cronaca che più nera e avvelenata non potrebbe essere: il sequestro di una cava dismessa al cui interno sono state rinvenute circa 200 mila tonnellate di rifiuti pericolosi trattati come “normali”.  Contaminati da rame, nichel, piombo, selenio e amianto, i materiali venivano diluiti con terre, calce, cemento eccetera per declassarli da pericolosi a speciali, quindi, con ulteriori miscelazioni, diventavano ‘ufficialmente’ inerti e   immessi sul mercato come materiali da costruzione, da impiegare per la realizzazione di sottofondazioni o rilevati stradali. Tanto che i giornali locali titolavano ieri “serpentoni di Tir carichi di scarti, una dozzina di case e 7 morti di cancro”.

Ancora una volta non si potrà dire che non si sapeva.

Che non si sapeva quello che aveva denunciato l’Arpav e che aveva fatto scaturire sei anni fa un’indagine della Procura:  centinaia di documenti, sette enti coinvolti, quattro diffide, la segnalazione di almeno  2.500 camion a scaricare rifiuti alla cava Campagnole, l’accertamento che nel sito di via Veccelli, incastrato tra i due stabilimenti della San Benedetto, in mezzo a almeno 50 mila metri cubi di rifiuti, ce n’erano almeno 5 mila contenenti amianto.

Che non si sapeva che  quei 5.000 metri cubi di rifiuti, suddivisi in ben tre lotti, due dei quali erano già sottoposti a sequestro penale dai Carabinieri forestali su mandato della Procura della Repubblica di Venezia, sequestri avvenuti per il primo lotto a ottobre 2015, per il secondo lotto a maggio 2016. Che non si sapeva quello che invece  sapevano bene i Carabinieri Forestali che lo avevano segnalato alla Provincia e alla Regione: l’arrivo spesso effettuato col favore delle tenebre di migliaia di camion coi loro carichi sospetti.

Che non si sapeva che dal maggio 2017 era stata avviata una indagine della Procura distrettuale antimafia, per individuare quali burattinai muovessero le file del traffico di veleni.

Eppure il Comune nel 2012, aveva segnalato la presenza di rifiuti, forse contenenti amianto e trasportati illecitamente proprio là, da due ditte, la Canzian e la Cosmo Ambiente che per questo verranno diffidate dalla Regione, facendo scattare quel primo sequestro, cui però non seguirà nulla per quattro anni. Finché nel 2016, la Regione si ricorda di quel provvedimento, si sorprende che non sia stato rispettato e ne trasmette un secondo al quale la ditta Canzian risponde che i materiali erano  stati rimossi, ma magicamente ne erano arrivati altri. Non tutti ci credono anche se alcuni autorevoli esponenti del governo regionale si lasciano andare al più fiducioso ottimismo e dichiarano alla stampa locale che i rifiuti nella discarica “potevano stare in un pacchetto di sigarette”,  forse senza la scritta sui rischi per la salute. E parte così una terza diffida che  ha come effetto altre indagini dell’Arpav e della Forestale quelle che culminano nelle rivelazioni e negli interventi di questi giorni.

Eppure il Comune, si, proprio il soggetto che aveva lanciato i primi allarmi, prende lo  scorso anno l’iniziativa di stipulare una intesa, “l’accordo cave”, proprio con la Canzian e la Cosmo Ambiente, che applica una variante al Pat, il Piano di assetto del Territorio, grazie alla quale viene cambiata la destinazione d’uso della zona autorizzando i partner privati, come recita la delibera in merito,  “ad urbanizzare parte della cava per realizzare un insediamento produttivo”. Con conseguente licenza, è ovvio, a  stendere un bello strato di cemento per seppellire l’incomodo passato.

Pare che tutto quello che non è Terra dei fuochi possa diventarlo. In questo caso si è evitato forse appena in tempo che succeda quello che è successo solo l’anno scorso in tante parti: a Grosseto, Follo, Pomezia, La Loggia, Pomezia, Bedizzole, Fusina, Malagrotta, Battipaglia, Angri, da nord a sud, dove fiamme purificatrici hanno “risolto”  situazioni divenute ingombranti o pericolose per le stesse imprese andate a fuoco, spesso immediatamente successive a ispezioni o sequestri  che fanno capo a persone già note per illegalità connesse al trattamento e alla raccolta dei rifiuti. Perlopiù all’origine degli “incidenti” c’è  la convenienza delle imprese che ricevono i contributi erogati dai consorzi obbligatori di settore  a incamerarli,  disfacendosi del materiale senza sostenere i costi che la sua lavorazione o lo smaltimento legale comporterebbero. Secondo i dati dell’ultimo rapporto Ecomafia di Legambiente, in Veneto sono stati accertati 171 reati nel settore dei rifiuti, che hanno portato all’arresto di 7 soggetti e alla denuncia di 323. Treviso appare la provincia più colpita, seguita da Venezia e Verona.

Con il tentativo di seppellire le magagne di Paese, si finisce per seppellire anche la leggenda del Nordest produttivo, dei suoi distretti all’avanguardia per knowhow, innovazione, sperimentazione. Già da tempo la narrazione mostrava le sue falle, quando  il trasferimento di tecnologie di è ridotto a delocalizzazioni in cerca di paradisi dove trovare manodopera a minor prezzo e dove inquinare più liberamente grazie a un’Europa a due velocità ambientali che ha permesso standard più indulgenti ai nuovi entrati. Quando in Slovenia, in Croazia, e altrove gli operai locali hanno appreso la lezione, si sono messi in proprio sfruttando le loro risorse e la loro imprenditorialità. Quando il Made in Italy ha perso il suo appeal perché i padroni hanno smesso di investire in brevetti, in creatività e pure in sicurezza, preferendo aspettare i profitti davanti alla roulette del casinò finanziario. E da quando a rispettare le regole si passa per “mone”, a rispettare le stagioni e la natura e la terra del proprio territorio si passa  per stupidi, che  l’importante è partecipare al grande business del prosecco che ha conquistato i palati dei nuovi Michele l’intenditore di tutto il mondo e fa niente se nel retrogusto c’è l’amaro sapore dei pesticidi o se per incrementare le coltivazioni di sbancano i dolci colli e si strappano terreni ai boschi di una regione benedetta dalla dea fortuna e castigata dal demonio dell’avidità.