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E proprio vero che non è tutto oro ciò che luccica. E non dico solo per la materia in sé, ma anche per i luccichii conferiti dall’essere al centro dell’attenzione, della speculazione, della moda o della curiosità, come per esempio il grande interesse attorno alle criptovalute che purtroppo, attirano tonnellate di  speculazioni intorno al loro futuro, alla loro valutazione, al ruolo che possono giocare, ma che sono quasi completamente prive di un tentativo di comprenderne il senso o il trucco. Personalmente la creazione di valore dal nulla, che prescinde in maniera pressoché assoluta dal lavoro, è allo stesso tempo l’eden e il vicolo cieco del neoliberismo ontologico, una nuova sindrome dei bulbi di tulipano su scala globale: una dimostrazione delle antinomie del sistema capitalistico.

Ma bando alle considerazioni e veniamo al sodo: dal momento che l’ operazione di accaparrarsi queste monete virtuali dipende dalla potenza di calcolo dei computer e si chiama mining si potrebbe fare un paragone con le estrazioni minerarie e in particolare con quella dell’oro che è tradizionalmente la pietra di paragone finale di ogni moneta. Ora l’oro è bellissimo e incorruttibile, si lavora facilmente, ma non sarebbe mai stato utilizzato per la creazione di denaro se il valore riconosciuto fosse stato inferiore al costo della sua estrazione e lavorazione. In generale questo si applica ad ogni valuta di qualunque tipo, siano esse conchiglie o cartamoneta garantita da uno stato o da una banca: i costi per la creazione e la disponibilità devono essere necessariamente inferiori al valore nominale. Sarebbe impossibile creare  un euro sotto forma di circoletto metallico o biglietto o anche come bit se questi supporti costassero un euro e un centesimo. Questo invece pare che accada  le criptomonete: uno studio condotto da Max Krause e Thabet Tolaymat dell’Oak Ridge Institute for Science and Education a Cincinnati, ha scoperto che l’energia necessaria per procurarsi una di queste divise per così dire virtuali e quella del blockchain necessario a garantire le transazioni è di molto superiore a quella dell’oro visto che tutto il meccanismo si basa sulla competizione fra calcolatori e dunque su un notevole consumo energetico.

I due autori hanno calcolato che procurarsi il valore di un dollaro americano in criptomonete si spende una straordinaria quantità di energia: 4,76 chilovattora per Bitcoin, 3,92 per Monero e 1,96 per Ethereum e Litecoin. Ora invece per l’estrazione di una quantità di oro corrisponde a un dollaro ci vogliono appena 1,4 Kwh. Per non parlare di un metallo come il rame che si estrae al costo energetico di 1, 12 chilovattora o dell’1,9 del platino o 2,12 delle terre rare che tuttavia sono materiali essenziali proprio per poter rendere i costi della potenza di calcolo necessario per il mining inferiore al valore di quest’ ultimo. Per farla breve se volessimo stabilire un valore in base all’energia consumata che non solo è finita, ma implica nel presente e ancor più in prospettiva costi drammatici per la nostra vita, dovremmo dire che l’oro è straordinariamente conveniente visto che il suo valore di scambio è più o meno di cinque volte superiore a quello del bitcoin a parità di impiego di energia. Chissà. forse  meglio fare i cercatori d’oro nel Po, anche se ahimè in questo caso sarebbe necessario faticare.