Questo gigantesco flusso di denaro costituisce solo una parte e non la più rilevante del problema per alcuni motivi evidenti: l’esistenza di un ossessiva pubblicità occulta prima esercitata con le cosiddette marchette sulla carta stampata e sulle televisioni, ma che è successivamente dilagata sul web e sugli altri media con una massa enorme di false recensioni, prove, indicazioni, consigli, suggerimenti indiretti, in ogni e qualsiasi campo dalla cucina all’elettronica che vengono pagati in cambio merce, brevi manu, in cambio favori er lobbym gruppi di pressione, clan di varia composizione e in altri mille modi alimentando ovviamente una sorta di economia in nero che poi si moltiplica e deborda per fattori imitativi e anche qui comunque legati a un qualche ritorno indiretto in termini di consenso o di lettura e dunque di potenziale spazio pubblicitario. Non solo si auto alimenta un consumismo paranoico, ma la percezione della realtà diventa a pagamento senza che noi ce ne accorgiamo e anche quando non lo è i metodi e le mentalità create da questo tipo di percezione mercatista del reale sottendono ogni angolo della comunicazione, anche quando vengono usati a fin di bene, nella convinzione di “educare” il pubblico. Per esempio mentre i personal computer della Apple chiamati erroneamente Mac hanno a mala pena il 10% del mercato essi costituiscono il 98% di quelli che compaiono nei film, negli sceneggiati e nelle serie Tv per motivi ovvi grazie agli investimenti pubblicitari in chiaro, ma soprattutto occulti in cui questa azienda sembra essere maestra. Insomma come se il Pc non esistesse. Analogamente, ma questa volta senza presumibili vantaggi commerciali, il 90% delle persone che vediamo scrivere nei film lo fanno con la sinistra, forse nella convinzione di contribuire ad eliminare pregiudizi medioevali, ma ormai scomparsi ben prima che si manifestasse il mancinismo cinematografico.
In ogni caso i metodi pubblicitari non sono mai una buona idea perché tentano una persuasione subliminale che non sfiora l’ideazione cosciente, ma solo la sfera emotiva e men che meno servono a smussare i pregiudizi e la loro radice proprio perché in un certo senso non devono aprire li occhi, ma accecare e funziona solo se agisce su ciò che già fa parte del prorio orizzonte. Non a caso il consumismo non è figlio della pubblicità, ma l’esplosione di quest’ultima è dovuta a un sistema valoriale nel quale si è soli e ci si identifica con gli oggetti posseduti e che in realtà ci possiedono. La pervasività di questo sistema è cresciuta col tempo ed è ormai tale che non solo propone e asserisce qualcosa, non solo mette sugli altari questo o quell’oggetto del desiderio, ma ormai cancella tutto quello che non rientra in questa logica, come se il mondo reale esistesse solo e soltanto a pagamento. Non c’è perciò da stupirsi se tutto questo si applica anche al discorso pubblico dove è possibile nascondere intere parti di mondo e focalizzarne solo alcune, oppure togliere qualche marchio celebre e magari attribuirne qualcuno a una carretta. Ma si può avere una certezza: nessuno sarà soddisfatto o rimborsato.