sito-bisca-03-1600x1032Finalmente il panorama si va rischiarando, la luce illumina realtà palpabili e ingombranti che la penombra della ragione e della paura ha permesso di  non vedere per troppo tempo: questa ‘Europa non ha un futuro, anzi non ha nemmeno un passato perché da costruzione utile e funzionale alla guerra fredda è diventato nei suoi tempi migliori un quasi ovvio mercato comune e dopo la caduta del muro un alibi per imporre la dittatura della finanza e le sue ricette politiche reazionarie. In più possiamo finalmente scoprire che tutto questo meccanismo retorico e pletorico che sta agli ideali di partenza come l’amore di certi mariti assassini, è servito da una parte al tentativo di cancellare gli stati nazionali come reperto del passato e ostacolo alla consunzione della democrazia reale che in essi trovava gli strumenti di rappresentanza, dall’altro però, nel livello sotterraneo è stata l’arma per una guerra di egemonia che si è risolta a favore della Germania quando se ne è stata adottata la moneta cambiandole il nome in euro e accettando di giocare sul campo stesso dell’avversario.

Globalismo ed egemonia sono le due facce contraddittorie a cui si  ridotto l’occidente dei banchieri e dei magnati e che ha trovato in Europa il luogo di realizzazione più completa e dunque al tempo stesso più fragile, ormai coperto da appena un velo di retorica e da una montagna di ricatti. Così accade, è solo un esempio di cronaca, che i soldati di mon cherie Macron scarichino immigrati nei boschi italiani di confine dopo che il nei mesi scorsi il residente francese aveva sputato veleno sull’Italia che rifiutava gli immigrati. Gia un Paese che ha sulla coscienza Ventimiglia e Calais dovrebbe starsene zitto, ma appare chiarissimo come il tema dell’accoglienza sia stato solo  un espediente per creare una sorta di complesso di colpa al governo “populista” italiano. Non c’è alcun dubbio che a questa gentaglia degli immigrati, del resto creati da loro immondo colonialismo, gliene frega meno che niente, perché è interessata soltanto alla manodopera a basso costo e a soffiare col mantice sulla retorica del globalismo e sul tentativo di scompaginare i suoi nemici.

Un’ altra evidenza parte sempre dalla Francia che l’anno prossimo avrà un deficit molto più alto dell’Italia e per giunta in un quadro generale peggiore, ma che viene lodata e non bastonata come l’Italia: è  evidente persino a un cieco che Bruxelles vuole colpire il governo di Roma perché il suo piccolo deficit costituisce una sorta di guanto di sfida e non un mellifluo accordo sottobanco nel quadro di servo ossequio alla governance continentale. E’ anche chiaro che Berlino considera l’Italia come un pericolo per la continuazione del gioco egemonico europeo e dopo aver fatto un ampio bottino in questi vent’anni  di euro si sta convincendo che le conviene ridurre il gioco alla Francia, all’Austria e al Benelux, liberandosi dell’Italia e dei Paesi mediterranei che oltretutto costituiscono una fonte di contagio anche all’interno. Infatti la classe dirigente tedesca non vuole soltanto salvare il tesoretto acquisito, ma non ha altra strada per sopravvivere dopo aver congelato i salari per quattro lustri, creato un’ampia fascia di precariato di sussistenza, dimezzato il welfare e creato persino una corrente di emigrazione giovanile. Meglio affrontare i rischi insiti in una moneta più forte che onorare il senso e i doveri di un’Unione che finora è stata la gallina dalle uova d’oro per loro e non per i presunti beneficiati. Ma per Berlino il riequilibrio si chiama ricatto tanto che uno dei più seguiti economisti tedeschi Hans Werner Sinn dice apertamente che se l’Italia non butta all’aria il governo poulista e non fa atto di sempiterna contrizione, allora tanto vale che esca dall’Euro: “La verità è  che  siamo arrivati ​​in un vicolo cieco, dove non ci sono vie d’uscita più convenienti. Un’unione di trasferimento non è una soluzione reale: porta a una certa stabilità, ma a una stabilità che può anche essere descritta come un assedio”. Certo finché il trasferimento era a  loro vantaggio non pareva poi così negativo, ma Sinn fa di meglio  e di più: suggerisce quali possano essere i metodi per un’uscita morbida, in linea più o meno con alcune proposte che in Italia sono in campo da anni fra i profeti che gridano nel deserto del montismo e del renzismo, ma che non hanno mai avuto fino ad ora uno spazio politico: “Introducendo una moneta parallela sotto forma di titoli pubblici”.

Certo molto di tutto questo è stato accelerato dalla vittoria inaspettata di forze più o meno consapevolmente contrarie a queste logiche o ad alcune di esse, mostrando in maniera inequivocabile come la forza di trascinamento della retorica europea e quella collegata del neoliberismo, si sia affievolita insieme all’oggettiva difficoltà di supportane le ragioni ed è per questo che la strategia di ritirarsi su linee più sicure comincia ad apparire conveniente. D’altronde per l’Italia sarebbe un terno al lotto intanto perché gran parte dei suo debito, oltre i due terzi, sono interni, poi perché con una moneta più debole avrebbe immediatamente molte più possibilità di crescita  sia per i suoi semilavorati verso l’Europa del Nord, sia verso il mondo: la globalizzazione stessa rende piuttosto superfluo l’esistenza di un mercato comune dentro un’area ristretta e che per giunta include Paesi a moneta debolissima e a basso costo del lavoro. Naturalmente saremmo portati a dare la colpa di tutto questo alla Germania che tuttavia ha fatto solo i propri interessi, la colpa  è invece di un ceto politico italiano che sulle diverse sponde, ha commesso errori catastrofici dovuti in ultima istanza sia a scarsa capacità di analisi sia a  una sorta di fideismo servile e torpido verso i dettami del neoliberismo e dei suoi promotori -padroni. E oggi abbiamo ancora i nipoti a fare fronte per tutto questo. Siamo come quelli che hanno fatto fuoco e fiamme per entrare nel casinò dell’euro pensando di sbancare, senza nemmeno far caso alle regole di gioco incoerenti con la stessa idea d’Europa e che ne facevano piuttosto una bisca dove il banco vince comunque anche se perde, ma che dopo aver perso le mutande non hanno il coraggio di andarsene, aspettano di essere cacciati in malo modo pur di non prendersi nemmeno questa responsabilità.