Turquía registrará el consulado saudí en Estambul por el caso KhashoggiIl nuovo giocattolo informativo si chiama Jamal Khashoggi, ovvero il giornalista- agente segreto, collaboratore del Washington Post, ammazzato con modalità da pulp fiction nel consolato saudita a Istanbul per ragioni ancora tutte da chiarire. Quale interesse poteva avere il regime di Riad e il principe Mohammad bin Sultan, l’eminenza clown che regge il potere, di far fuori  Khashoggi nella metropoli turca ben sapendo che un passo falso di questo genere sarebbe stato immediatamente sfruttato da Erdogan a suo favore e che avrebbe suscitato l’ira di Washington o quanto meno di una parte di Washington? Adesso i sauditi parlano di “incidente” ma le male lingue (qui) parlano della vendetta per un piano di destabilizzazione del regime di Riad che sarebbe stato preparato dalla Cia, con il pieno coinvolgimento di Khashoggi. secondo le classiche ricette dell’arancionismo. Ormai l’Arabia Saudita è necessaria a Washington come il pane, anzi in molti casi, come la vendita di armi, i finanziamenti sporchi, il contenimento dell’Iran è letteralmente il pane e perciò deve essere strettamente controllata per evitare future sorprese.

E’ una tesi plausibile, ma non ho alcun elemento per sposarla così per respingerla a priori, ma invece mi voglio concentrare sulla figura del personaggio che è una metafora o meglio ancora l’emblema di un processo di controllo globale che  ha caratteristiche peculiari nel mondo arabo, ma che  riguarda mutatis mutandis il sud America così come l’ Europa o l”Asia, ovvero la coltivazione di elites e gruppi intellettuali estraniati che non contribuiscono all’evoluzione interna delle diverse culture, ma vi sostituiscono modelli omologati altrove oppure permeano di veleni estranei le speranze e i pensieri. Chi era Khashoggi? Uno dei rampolli di una famiglia ricca e in vista, nipote di un commerciante di armi saudita che per un certo periodo fu persino una specie di archetipo del nababbo medio orientale orientale e che venne implicato nell’ affaire Iran – Contras. Per la cronaca uno dei suoi cugini era quel Dody Fayed morto nell’incidente con la principessa Diana. Naturalmente, noblesse oblige,  fin da subito venne mandato  a studiare in Usa e fu dunque immesso in quel complicato analfabetismo  imperiale che distingue inequivocabilmente questi personaggi. Il suo scopo divenne quello di liberare il mondo arabo dalla corruzione e dai regimi autocratici, considerati un’eredità del colonialismo occidentale, non accorgendosi che proprio lui si stava trasformando nel portatore di un nuovo tipo di colonizzazione che poi ha trovato la sua tipica espressione nella Fratellanza Mussulmana, ossia uno degli ambigui strumenti con cui è stata distrutta, a partire dall’Egitto, quel poco di laicità autoctona presente nel medio oriente che poteva davvero essere un seme di cambiamento reale.

Jamal Khashoggi così partecipò, sia pure dietro le quinte, alle operazioni di destabilizzazione dellAfganistan e in seguito divenne un ideologo della cosiddetta primavera araba che si è rivelato in realtà come un piano di dominio occidentale attraverso i cambi di regime, ma  rimanendo legato sia agli Usa che all’Arabia Saudita che avevano interessi in qualche modo convergenti in questa operazione. In seguito però Riad cominciò a sospettare di essere anche lei nella lista di Paesi da destabilizzare e così i Sauditi cominciarono a finanziare movimenti di stampo salafita che si opponevano ai Fratelli, in un intrico davvero difficile da dipanare. E’ probabilmente a questo punto che Khashoggi si trasforma, piano piano, da uomo di collegamento in un nemico, in una persona da sorvegliare: alla fine si è trovato in mezzo al fuoco incrociato fra bin Sultan, Trump e il deep state, venendone travolto. Ma più che il suo destino personale, per quanto orribile sia, l’evento costituisce  la dimostrazione del fallimento cui vanno incontro i ceti intellettuali per così dire da esportazione che cercano il riscatto o la quadratura del cerchio sulla base di culture altrui o da suggestioni che finiscono per permeare lo spazio mentale. Trasferendo questo ragionamento nell’interno occidentale, operando le opportune trasformazioni, non c’è alcun dubbio che sono nella stessa linea di fuoco tra progetti liberal liberisti, conservatori, euro oligarchici e, sic dicitur, populisti, mentre avvengono cambiamenti enormi che trasformano in pura favola la convinzione che il globalismo di marca imperial – finanziaria  possa essere una soluzione di eguaglianza o comunque  sia  possibile renderlo compatibile con idee di società più giuste, con antropologie meno hobbesiane. Certamente nessuno dei salottieri nostrani ed europei rischia di essere sciolto nell’acido e il peggior rischio cui va incontro è non trovare sedia e ombrellone a Capalbio, un tavolo al Saturne o al Joseph Roth di Berlino , ma alla fine il destino della scomparsa potrebbe essere identico,