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Alle volte ritornano. E così la vecchia pummarola, passata e lasciata addensare al sole per farne passate o conserve e poi cotta a lungo nelle salse e nei ragù si sta prendendo una bella rivincita su quella cucina cosiddetta moderna con i suoi pomodori a crudo variegati e ottenuti con le irradiazioni e le sue verdurine croccanti che fanno parte del messale dei cuochi da televisione e da frullatore. Come è noto o come dovrebbe esserlo la cucina mediterranea è una creatura mitologica che esiste solo nella fantasia e il cui nucleo fu  in sostanza creato dagli americani nel dopoguerra quando notarono che nell’Italia meridionale e specialmente in Calabria c’era meno incidenza di malattie cardiovascolari e di tumori legati all’apparato riproduttivo.

In realtà, come si è visto in seguito, questo derivava da molti  fattori non ultime le gravi carenze statistiche, l’aver scambiato le condizioni alimentari del dopoguerra con la dieta tradizionale e la scarsa conoscenza delle dinamiche chimico alimentari: oggi sappiamo che l’incidenza percentualmente minore di queste malattie appartiene ad alcune regioni del Nord, in particolare all’Emilia – Romagna e comunque anche nella dieta meridionale si faceva uso abbondante di grassi animali sotto forma di strutto, mente nel nord il pomodoro, peraltro entrato nella cucina emiliana un secolo prima che in quella napoletana, veniva usato per le salse di preferenza con il burro e non con l’olio. In ogni caso ciò che davvero separava  la cucina italiana da quelle continentali non era solo la straordinaria complessità e ricchezza, ma proprio l’abbondante uso del pomodoro lungamente concentrato e cotto che già a partire da metà Ottocento era entrato di prepotenza in moltissime preparazioni.

Oggi a tanto tempo di distanza si è scoperto l’azione protettiva esercitata da alcuni acidi grassi come omega 3 e omega 6 e/o dai carotenoidi, tanto che se volessimo trovare  due paesi esempio dovremmo prendere il Giappone per l’uso di queste prime sostanze grazie a una cucina fondata sul pesce cotto pochissimo o crudo  e l’Italia come territorio privilegiato delle seconde. Non a caso di tratta di popolazioni tra le più longeve sul pianeta. Le cose però non sono così semplici, perché tale azione protettiva è svolta in maniera preponderante solo da alcuni carotenoidi e in particolare  dal licopene, un composto centinaia di volte più efficace di altri, che non viene sintetizzato dall’organismo e che deve essere assunto attraverso il  cibo con il problema però che le fonti di questa sostanza, sono scarse e marginali rispetto alle necessità dell’alimentazione quotidiana: se ne trova in quantità sufficienti nei cocomeri, nelle albicocche, nei pompelmi, nei funghi e se non fosse per il pomodoro che ne è la fonte più ricca, rimarremmo a secco. Il fatto principale però è che il licopene ha 11 legami coniugati per cui nella sua forma diciamo così naturale è poco efficace e anche poco assimilabile, mentre al contrario di quanto accade per altre sostanze come le vitamine non solo resiste bene al calore, ma in queste condizioni aumenta la propria concentrazione e assume una forma isomerica che è molto più utile all’organismo. Dunque scaldare al sole la passata di pomodoro per le conserve e le lunghe cotture fanno crescere e di molto la concentrazione di tale sostanza nella forma più efficace. Se a questo aggiungiamo anche il fatto che l’assorbimento è legato alla presenza di grassi possiamo senz’altro dire che una pizza margherita o un piatto di tagliatelle al ragù ( e ovviamente tutte le altre preparazioni similari lungo tutta la penisola)  sono in assoluto la fonte più abbondante di licopene (oltre che di luteina) che si possa trovare e che in altri contesti viene sostituita dal ketchup o da una dieta ad alta incidenza ittica, per così dire. Da un mezzo secolo ormai  siamo stati reclutati in una guerra senza quartiere contro i radicali liberi, senza sapere che proprio ciò che avevamo sotto gli occhi e dentro al piatto da generazioni era il santo Graal degli antiossidanti.

Per questo la rivista medica Lancet ha pubblicato uno studio che basandosi su numerose ricerche fatte negli ultimi due decenni, fanno risalire all’uso di pomodoro in lunga cottura il principale fattore benefico della cucina mediterranea, alias in realtà italiana. Dunque tutto il salutismo fasullo che si traduce in piattini di verdurine croccanti, semicrude spacciate dai cuochi del piccolo schermo come fossero l’elisir di lunga vita o l’uso esclusivo di pomodoro fresco, di ogni colore e di ogni non sapore, sembrano il massimo del mangiar sano e sono invece solo espedienti da ristorante. La pummarola, alla vecchia maniera si prende la sua vendetta.