imagesAlle volte i prodotti dell’egemonia culturale compaiono come lampi dove non ce lo si aspetta e così ieri, mentre leggevo tutto ciò che era possibile sulla vicenda di Stefano Cucchi e la inattesa confessione di uno dei carabinieri sotto accusa, sono incappato in una dichiarazione del padre del ragazzo fatta a luglio nel corso del processo: “Come è possibile che un ragazzo muoia in quel modo nell’ambito dello Stato? Quando l’ho visto, all’obitorio, non sembrava Stefano… ma un marine morto in Vietnam con il napalm”. Non so di preciso quanti anni abbia Giovanni Cucchi, ma andando a naso sospetto che sia più o meno un mio coetaneo, dunque era più che adolescente durante l’infuriare della guerra del Vietnam e dovrebbe ricordarsi che erano i marines a buttare il napalm sui vietcong (e sui civili inermi), non viceversa.

Anzi i giornali del periodo generalmente enfatizzavano questo fatto alcuni per sottolineare gli orrori della guerra americana, altri, al contrario, per rassicurare gli atlantisti compulsivi sulla potenza degli Usa e sulla certezza della vittoria finale, dunque in un certo senso questa realtà incendiaria prescindeva persino dalle posizioni politiche. Però evidentemente, con il sedimentarsi degli anni e l’avvento del pensiero unico, quasi senza che ce ne si accorga, qualcosa ha lavorato nel buio della mente e così accade che i due milioni di persone tra vietnamiti, cambogiani e laotiani (cifra che non tiene conto delle stragi indirette) sterminate solo col napalm non esistono più e anzi le vittime diventano i carnefici. Quando il ricordo si allontana finiscono per predominare i meccanismi immaginativi a cui si è stato esposti così a lungo tanto da trasformarsi in verità.

L’errore che si commette comunemente è quello di considerare il pensiero unico come una sovrastruttura ideologica che è ha acquisito diritti monopolistici dopo la caduta del comunismo, ma in realtà è molto di più e molto di meno: è una infrastruttura  fatta di immaginazioni, simboli, luoghi comuni, circuiti prestampati di ragionamento che operano nel sublimine, è una sorta di dottrina gelatinosa che si insinua tra gli spazi della razionalità e finisce per renderla inefficace e dunque esposta alle suggestioni . Se fosse un sistema di pensiero non potrebbe reggere alle contraddizioni più che evidenti che si porta dietro in qualunque ambito, ma finché rimane allo stato informe e colloso riesce a far apparire come universali e necessari gli interessi delle classi dominanti, i loro centri di irradiazione del potere e i loro artefatti economico – politici. Anzi viene istituita a livello emotivo una sottile liberazione da ogni colpa e una continua remissione dei peccati con qualche modesto pater, ave e gloria . Alla fine tutto questo diventa una sorta di automatismo, un po’ come guidare senza nemmeno pensare a cosa si sta realmente facendo mentre ciò che  tende a liberarci da queste panie, le inevitabili grattate del cambio di qualche evidenza, viene prontamente represso dalla polizia dell’opinione.

Basta prendere la storia recente, diciamo dalla seconda guerra mondiale in poi, tanto per non complicare troppo le cose per accorgersi che su di essa è calato un sudario mortale sotto il quale vengono soffocate tutte le questioni vitali per sostituirle con disegni infantili riservate alle masse indistinte di individui ridotti all’onanismo politico, mentre a un livello più alto esiste una sorta di negazionismo ribaltato che riguarda il socialismo reale, del quale si può soltanto parlare male. E se per caso si prendono i documenti e si scopre qualche voragine in queste narrazioni, ecco che subentra la censura accademica, come è successo a Luciano Canfora il quale per non aver considerato  criminoso in tutti i suoi aspetti il ruolo dell’Unione Sovietica nel ‘900 è stato punito con il blocco della traduzione di un suo libro sulla democrazia in Germania.

In realtà viaggiamo col pilota automatico verso la nostra rovina ed è per questo che può succedere anche a gente la quale ha vissuto i giorni del Vietnam di vedere il marine ucciso dal napalm invece del vietcong, che in fondo è rimasta sempre un’astrazione anche in situazioni drammatiche. E non vale dire che può trattarsi solo di un lapsus, perché è proprio questa la natura insidiosa e nascosta del pensiero unico, ovvero quella di essere un lungo lapsus della realtà.