bolsonaro--conhea-os-mais-de-630-projetos-de-lei-do-deputado-kofh-u3040420763596ld-1224x916corriere-web-sezioni_MASTER-593x443 (1)L’egemonia culturale e il  sistema economico produttivo sul quale si fonda hanno due capisaldi che rendono difficoltosa la lotta contro il sistema che si illude di essere la fine della storia: il primo è la rassegnazione che nasce dal presentarsi come senza alternativa dopo che quella storicamente concretizzata è collassata. Il secondo è invece la retorica, del nuovo che oltre ad essere ovviamente funzionale al consumismo più folle, è diventato un vero e proprio sistema di culto che prescinde da qualità, opportunità, buon gusto, consistenza, beneficio, per assolutizzare un unica caratteristica, ovvero la novità reale o immaginaria che sia. Questo vale per qualsiasi cosa, dal più infimo oggetto di consumo alla politica, tanto che in epoca di leaderismo mediatico, l’essere nuovo è sempre vincente come abbiamo cominciato a vedere con Berlusconi e confermato in purezza con Renzi o Macron.

Ma il diapason di questo fenomeno può essere osservato con meno schermature culturali in Sud America dove personaggi nuovi o più spesso spacciati come tali  predicano quel vecchio contro il quale c’era stata una sorta di rivolta popolare a partire dagli anni ’90 e che tuttavia paiono costituire un’attrazione fatale. Il Brasile è ora sotto l’effetto Bolsonaro, un ex militare di estrema destra, contrario ai diritti umani e favorevole alla tortura, sessista a un livello inconcepibile, razzista (che è un bel problema in Brasile)  oltre che, naturalmente, ultraliberista, il quale rischia di diventare presidente del Paese dopo l’uscita di scena forzata di Lula e Rousseff  grazie a un colpe morbido organizzato molto a nord dei confini . Jair Bolsonaro, che a quanto pare è il candidato Washington, è un predicatore d’odio, un imbarazzante ritorno al passato più oscuro e tuttavia riesce ad apparire, grazie alla retorica dell’uomo nuovo, addirittura come rivoluzionario, arrivando a intercettare  il  voto di protesta. La cosa è assolutamente grottesca perché quella protesta si leva contro le promesse mancate del lulismo, ma si concentra su un personaggio che disprezza quelle promesse e nemmeno nel più remoto angolo della mente pensa di realizzarle, anzi il suo programma si propone di distruggere anche quel poco che è stato fatto e che non sia già stato disfatto da Temer.  Eppure ha preso il 47% .Non è un caso che il suo elettorato sia composto principalmente da giovani che trovano in lui, in maniera del tutto acritica. una via d’uscita dalla corruzione, dalla crisi attuale e la possibilità di un futuro migliore, nonostante egli sia sia una sorta di giacobino delle ricette economiche e sociali che ha sottratto futuro alle persone.

Tutto questo è possibile però non soltanto grazie al peso dei media che sono le cinghie di trasmissione dell’egemonia culturale e dei suoi “valori” vuoti, ma anche grazie ai colossali errori delle politiche fatte a sinistra che hanno spostato l’enfasi dai diritti sociali collettivi verso sistemi di inclusione finanziaria individuali. Così che quando le difficoltà economiche hanno messo in crisi il modello lulista, non c’è stato più un chiaro spazio politico di azione. Ma dopo la caduta di Lula e della Rousseff invece di riconcentrarsi su un programma di risocializzazione, la sinistra si è limitata alla denuncia del golpe strisciante e del pericolo del fascismo, elementi necessari, ma di certo lontani dall’essere sufficienti e dal riempire uno spazio politico lasciato vuoto o al volte riempito con le idee dell’avversario, mentre si sarebbe dovuto chiarire in termini molto semplici che il problema di fondo non era la corruzione, ma ciò da cui fondamentalmente nasce ovvero la miscela tra ricette neoliberiste e forme di economia del sotto sviluppo. L’altro errore è stato quello di creare una sorta di incomunicabilità con la base sociale, conservando gelosamente un’ obsoleta modalità gerarchica di fare politica e non concedendo credito ai gruppi giovanili.  Come dice Rosana Pinheiro-Machado, docente di antropologia , “dal 2013, ciò che abbiamo visto è una sinistra paralizzata che rifiuta tutti i gruppi che non può né comprendere né trattare. Questo è un errore strategico. Il bolsonarismo ci mostra come la frustrazione radicale verso il sistema possa essere sfruttata per ottenere un guadagno politico in favore dello stesso sistema. Gli attivisti di sinistra devono comprendere e accettare questa insoddisfazione agendo attraverso le lacune delle contraddizioni del capitalismo, offrendo al contempo un’agenda radicale alternativa che abbia senso per i cittadini comuni”.

Sarebbe un errore ancora più grande archiviare tutto questo sotto il capitolo del cosiddetto populismo, termine peraltro privo di definizione e dotato solo di connotazioni, anche se a prima vista vi si potrebbero scorgere delle analogie: lo dimostra una delle voci del padrone, certamente fedele ai riti dionisiaci del nuovo ossia il Financial Time che in merito al duello tra Bolsonaro e il leader della sinistra Fernando Haddad scrive che si tratta  di “una competizione tra populisti dell’estrema sinistra e della destra”. Qui invece si tratta di uno scontro fra una forma di fascio liberismo ( rifiutata a parole, ma in realtà auspicata e aiutata dal sistema almeno fino a che obbedisce) e  una di socialdemocrazia per così dire leninista che perde contatto con la sua base. Una battaglia tra elettori soli per definizione ed elettori lasciati soli.