filAnna Lombroso per il Simplicissimus

Uno dei processi più infami in corso in questi nostri anni di invereconda ipocrisia è certamente la conversione della solidarietà in carità e della responsabilità in beneficienza, come si è visto fare con gli appelli di decisori a concorrere coni nostri  sms per porre riparo alle loro trascuratezze e colpe, o con gli appelli alle coscienze perché in via personale e volontaria ci si adoperi dove non arrivano e non vogliono arrivare stato, istituzioni, soccorsi. A patto però che la compassione non intralci affarismi e interessi: in quel caso si torna a omaggiare competenze, professionalità e esperienza da contrapporre all’impegno offerto senza remunerazione, che deve essere limitato a prestare opera presso Fico, Expo e simili in modo da acquisire meriti e arricchire il proprio curriculum di entusiasti precari a vita.

Di esempi illustri ne abbiamo e non solo per quanto riguarda le geografie del buonismo e del cattivismo che culminano nell’immancabile invito a ospitare i profughi in casa propria. Una delle forme più sofisticate di queste trasformazioni è rappresentata dalla vocazione e dall’attività delle fondazioni, in particolare quelle bancarie,  quei «Mostri giuridici», secondo la definizione di Giuliano Amato, proprio lui che insieme  Guido Carli, firmò la legge 218 1990, inaugurando  la stagione delle dismissioni del patrimonio pubblico italiano e che Tremonti, vincolandone le erogazioni al territorio per il 90%, rese i più potenti soggetti politici locali.

Sono quelle i soggetti   che, con quattrini appartenenti alle ex banche pubbliche e casse di risparmio privatizzati    condizionano  le politiche pubbliche locali in proporzione diretta all’impoverimento dei Comuni. Sono quelle i poteri forti che sfuggendo a qualsiasi controllo democratico intervengono in ogni settore: famiglia; istruzione e formazione; religione e sviluppo spirituale; assistenza agli anziani; diritti civili; prevenzione della criminalità e sicurezza pubblica; sicurezza alimentare e agricoltura di qualità; sviluppo locale ed edilizia popolare locale; protezione dei consumatori; protezione civile; salute pubblica, medicina preventiva e riabilitativa; attività sportiva; prevenzione e recupero delle tossicodipendenze; patologie e disturbi psichici e mentali; ricerca scientifica e tecnologica; protezione e qualità ambientale; arte, attività e beni culturali, scardinando la necessaria distinzione tra privato e pubblico e indirizzando scelte, abitudini, consumi, aspettative per corrispondere agli imperii del mercato.

Per non parlare di quelle private, di un sistema nato negli Stati Uniti all’inizio del XX secolo, quando  per legge la “filantropia” delle aziende più ricche e potenti (Rockfeller, Mcdonald’s) si sostituì all’ attività missionaria per aprire la strada e fidelizzare al capitalismo e all’imperialismo i “pagani”. Ma là come da noi nessuno mise in dubbio l’edificante conversione alla virtù dei reprobi, nessuno si interrogò sul perché imprese che avevano modo di accumulare così tanto denaro, tanto da non averne bisogno, lo riversavano  in iniziative che premiavano la megalomania e appagavano il desiderio di lasciare un’impronta di sé invece, tanto per dirne una, di aumentare i salari dei loro lavoratori, investire in sicurezza o in servizi sociali. Ancora oggi sopravvive una incondizionata ammirazione per persone giuridiche in possesso di risorse enormi, autorizzate a non pagare le tasse, a godere inspiegabilmente della facoltà di agire, quasi illimitatamente, nella non-transparenza, autorizzate “moralmente” a trasformare la ricchezza economica in capitale politico, sociale e culturale e il denaro in potere di influenza smisurato, legittimate in qualità di idoli della modernità, come Jobs o, Gates a parlare di istruzione, di sanità e di politiche agricole, non solo con il governo degli Stati Uniti, ma anche con i governi di tutto il mondo, in veste di icone e maestri spirituali.

Basta pensare che in Italia ha diritto di parola e di “insegnamento” quella dei Benetton, della nota dinastia dei pullover più soggetti a rapido infeltrimento  (ho purtroppo avuto recentemente modo di parlarne qui: https://ilsimplicissimus2.com/2018/08/19/al-di-la-del-male-e-dei-benetton/), impresa nota per aver fatto proselitismo di sfruttamento senza norme di sicurezza e senza confini e potenza predona famosa per spregiudicate speculazioni a Venezia e non solo, che usa la sua Fondazione  per pareggiare il conto con espropri, lucroso affarismo immobiliare, acrobatici acquisti e svendite elargendo il premio Scarpa per l’architettura o per nascondere l’umiliazione inferta a quella parte di Lazio felix che era Maccarese, congelandone la memoria in un archivio.

C’è da sospettare che ci sia una trovata del pensatoio sociale della fondazione dietro la sfrontata e esecrabile iniziativa  di Autostrade  di  promuovere una raccolta fondi tra i lavoratori invitati a   devolvere volontariamente “il valore di una o più ore di lavoro a favore delle famiglie delle vittime della tragedia del ponte Morandi”, utilizzando l’apposito modulo,  a firma del responsabile della direzione Risorse umane e industriali del Gruppo. Alle troppo limitate critiche l’azienda ha risposto dicendosi dispiaciuta che “un’iniziativa spontanea di alcuni dipendenti, nata dalla loro sensibilità” sia stata “oggetto di strumentalizzazioni fondate su notizie false e tendenziose” e che si sia malinteso l’intento di Autostrade  “di sostenere e supportare” dando generosa ufficialità  a una proposta “così nobile”.

Siamo allo solite, ci si accorge dei lavoratori solo quando si può impiegarli e per giunta a spese loro, perfino per la più indecorosa delle propagande, ci si accorge dei bisogni di cultura e istruzione quando si possono scaricare dalle tasse. È quello che chi sta sopra intende quando dice che siamo tutti sulla stessa barca, peccato che loro stiano ben saldi e bordo e a annegare siamo noi.