Diabete-sotto-accusa-lo-sciroppo-di-mais_articleimageQualche giorno fa ho pubblicato un post nel quale mostravo il collegamento fra la sempre maggiore tendenza all’obesità non tanto alla quantità di alimenti, quanto alla loro composizione complessiva che spesso c’entra poco o nulla col cosiddetto cibo spazzatura come vorrebbero facili e forse non disinteressate leggende metropolitane. Il filo principale dell’analisi era che l’industria alimentare droga il cibo con gli zuccheri, in particolare il fruttosio che anche in piccola quantità, ma immessa in qualsiasi alimento, fa sballare il meccanismo della leptina che è alla base del senso di sazietà. Ieri ho appreso che una ricerca pubblicata due settimane fa su Science Transational Medicine suggerisce un meccanismo analogo per l’obesità o comunque la tendenza ai chili in più, basato proprio sul silenziamento della leptina,: più si diventa grassi, più l’azione di questo ormone diventa debole a causa di enzimi collaterali che vengono prodotti in quantità direttamente proporzionali all’aumento di peso (qui per i curiosi). Insomma si tratta di un meccanismo che una volta indotto grazie alla composizione dei cibi industriali  tende ad auto alimentarsi anche quando si è decisi a dimagrire.

In un certo senso si può dire che il profitto non solo sfrutta la ricerca scientifica, ma in qualche modo la anticipa nei risultati ed è anzi interessante vedere come sia nato il progressivo aumento del peso in corrispondenza quasi perfetta con l’affermarsi della sindrome neoliberisita, la crescita delle multinazionali del settore alimentare e l’assolutizzazione del profitto. La radice possiamo trovarla nel lontano ’71 quando Richard Nixon si preparava alla rielezione, ma temeva il malumore popolare in seguito al crescente costo del cibo provocato dalla guerra del Vietnam. Nacque così un piano di radicale industralizzazione del’agricoltura che fece centinaia di migliaia di vittime economiche tra i piccoli e medi agricoltori, ma che fece aumentare enormemente la produzione di mais (si noti che gli ogm sono poi nati proprio per aumentare le rese di questa coltivazione) sia per il consumo umano che per quello animale: gli hamburger divennero più grandi, le patatine fritte nell’olio di mais più grasse, il pane più untuoso, mentre in tutto, dai biscotti alla farina, si trovavano nuovi usi per il mais. I prezzi si stabilizzarono, ma non ci furono netti aumenti aumenti di consumo così che come risultato del nuovo libero e selvaggio mercato  ci si trovò ben presto di fronte  a una sovrapproduzione tale che, nemesi storica,  gli Usa si trovarono a vendere grano e mais all’arcinemica Unione sovietica.

La salvezza venne dal Giappone dove un gruppo di scienziati aveva scoperto il modo per produrre massivamente e a costi  molto contenuti sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio ( Hfc) estremamente dolce che fu subito pompato in ogni cibo immaginabile, pizze, insalata di cavolo, carne, preparazioni a base di pesce, bevande di ogni tipo, persino insalate confezionate: stava trionfando una silenziosa rivoluzione della quantità di zucchero che ben presto è diventato scienza pura – ogni milligrammo di cibo lavorato è stato ritoccato e addolcito per la massima appetibilità. E naturalmente di tutto questo non se ne è saputo praticamente nulla anzi se ne ebbe solo qualche sentore quando la Coca Cola dallo zucchero passò allo sciroppo di mais  (che costava un terzo) addolcendo ancora il gusto, cosa che non fu universalmente apprezzata. Hank Cardello, ex capo del marketing della Coca Cola dice che la scelta fu fatta perché “l’obesità era ancora fuori dei radar” e perché si pensava che non avesse alcune effetto sulla salute. In ogni caso questa “rivoluzione” si è diffusa in occidente persino nei Paesi di antica e solida tradizione culinaria.

A questo punto però devo necessariamente annoiarvi e fare un passetto indietro perché a metà degli anni ’70 un feroce dibattito infuriava dietro le porte chiuse del mondo accademico su ciò che stava causando l’aumento delle malattie cardiovascolari: un nutrizionista americano di nome Ancel Keys accusò il grasso, mentre un ricercatore britannico dell’università di Londra, il professor John Yudkin , accusò lo zucchero. Ma il lavoro di Yudkin è stato spazzato via soprattutto a causa del peso del professor Robert Lustig , considerato uno dei più importanti endocrinologi del mondo (succesivamente pentitosi) : fu orchestrata una campagna per screditare Yudkin contro il quale si addensavano le critiche di accademici americani la cui ricerca si stava allineando molto più strettamente con la direzione che l’industria alimentare intendeva prendere. Così nacque l’industria del falso sano che ancora oggi produce più che mai: pochi grassi, ma zuccheri anche invisibili dappertutto sia per sostituire un sapore che senza lipidi viene meno, ma soprattutto come droga  che fa saltare i normali equilibri della fame e della sazietà. D’altro canto i confini tra potere pubblico, lobby e profitto è talmente scardinato nel mondo neo liberista che in Gran Bretagna il segretario alla salute del governo conservatore è stato un tal barone Andrew Lansley che appena prima aveva lavorato per Profero, un’agenzia di marketing i cui clienti includevano Pizza Hut, Mars e PepsiCola.

Ad ogni modo nella seconda metà degli anni ’80 il professor Philip James e altri esperti come il professor Antony Sclafani notarono uno straordinario fenomeno: le persone ingrassavano sempre di più ( in un ventennio l’aumento arrivò al 1000%) , proprio mentre si diffondevano gli alimenti cosiddetti magri, dallo yogurt, ai biscotti, dai dessert e persino ai formaggi light, relativamente privi di grassi, ma con presenza di Hfc. Da quel momento una serie di ricerche sta completamente scardinando i paradigmi alimentari nati negli anni ’60 e ’70 , chiamando in causa gli zuccheri invece dei grassi. Si è persino scoperto che persone anziane, dunque solo sfiorate dalla rivoluzione del cibo, vivono di più se sono in leggero sovrappeso e non magre, purché questo derivi da un’assunzione di cibo secondo le vecchie e rinnegate regole. Naturalmente l’enorme complesso di interessi che si è creato intorno a un’industria alimentare che ha sfruttato il drogaggio di Hfc e il parallelo comparto farmaceutico dei grassi buoni e cattivi, fanno una disperata resistenza ed è probabile che ci vogliano parecchi anni, se non decenni prima che tutto questo arrivi al grande pubblico. Nel febbraio scorso un gruppo  dell’università di California, guidato da un ormai anziano Robert Lustig pentito a fine carriera. ha dato un altro colpo pubblicando un lungo articolo si Nature per dire che un crescente corpo di prove scientifiche dimostrano che il fruttosio può innescare processi che portano a tossicità epatica e a una serie di altre malattie croniche e metaboliche.

Ma non ne sapremo niente fino a che saranno mercato e profitto a governare tutti i processi compreso quello alimentare o fino a che non si sarà trovata qualche altra droga  da usare.