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Il totalitarismo delle grandi opere

errori_architetti_ingegneri_muratori_645Il crollo del ponte di Genova, al di là dell’insopportabile marciume che svela, è tuttavia un’ occasione quasi unica per strappare i vestiti dell’imperatore alle grandi opere e svelare la sostanziale mancanza di democrazia e di partecipazione che ne è alla base. In quando prodotti del profitto e del potere esse nascono in funzione di questi piuttosto che del bene comune che spesso diventa pretesto o copertura di un sottobosco affaristico e politico: anzi paradossalmente meno sono utili, più sono distruttive dell’ambiente e di radicati assetti sociali ed economici, più risultano interessanti per la speculazione che può modellarle in funzione del massimo guadagno. Queste non sono soltanto opinioni  piuttosto generiche, accuse che vengono da un piano diverso di visione sociale, ma derivano dai conti e dai calcoli.

Nel 2009 un docente di Cambridge di nazionalità danese, Bent Flyvbjer, ha  pubblicato un libro illuminante su questo tema, Survival of  Uniffittest, ovvero la Sopravvivenza dell’inadatto, nel quale, more mathematico, dimostra che i grandi progetti infrastrutturali soffrono di difetti intrinseci che di fatto li accomunano in qualsiasi parte dell’occidente. Intanto stime di costi e benefici sono molto diversi da quelli effettivi, visto che i primi levitano senza controllo e i secondi invece si rivelano assai inferiori a quelli immaginati, per non parlare della sistematica sottovalutazione dei rischi. Non si tratta di sviste, ma semplicemente delle deformazioni tanto più forti e inevitabili, quanto più grandi sono gli interessi, secondo uno schema che potrebbe essere paragonato alla distorsione spaziale in presenza di forze gravitazionali. Ciò accade sia perché gli strumenti di analisi non sono attendibili quando si superano certe soglie di grandezza, sia perché gli incentivi di varia natura, da quelli elettorali, a quelli di potere per finire a quelli più opachi di natura corruttiva sono così forti da incoraggiare i promotori a sottovalutare i costi e a sovrastimare i benefici, prima come alibi per se stessi poi come menzogne da raccontare all’opinione pubblica. Ampi estratti del libro lo potete trovare qui.

In sostanza accade che i progetti sono sottoposti per così dire a un travisamento strategico per cui quelli che sembrano migliori sono in realtà solo quelli meno discussi e i cui difetti rimangono nascosti. Il problema, così sovrastato da una ridda di interessi, non è mai se serva una certa infrastruttura, ma i vantaggi ipotetici della stessa. Flyvbjer fa decine di esempi, ma uno è clamoroso, quello della  Oxford Expressway (un espressione prima inesistitente in Gran Bretagna, ma importata di peso dagli Usa) che dovrebbe collegare la città universitaria con la sua “gemella” Cambridge senza dover passare per la periferia londinese o fare stradine di campagna. Fin qui nulla di strano anche se parliamo di un tragitto che di per sè interessa più i flussi turistici e che comunque è abbastanza breve, se non fosse che il progetto stradale comporta anche una serie di meccanismi per la costruzione di un milione di nuove case, ovvero più del doppio di quelle esistenti attualmente “per massimizzare il potenziale economico dell’area”. Tutto questo secondo i fautori del progetto e per la Commissione nazionale delle infrastrutture “fornirà un ambiente sano e naturale, riducendo la congestione”. Alla faccia. Com’è facile vedere ci si è immessi in un circolo del grottesco che alla fine fornisce all’opinione pubblica informazioni e temi talmente distorti da non essere concepibili nemmeno in uno stato totalitario. Se se ne vuole una prova basta andarsi a leggere le esaltazioni molto più realistiche e caste della propaganda fascista sulla direttissima Bologna – Firenze che di fatto era enormemente più impegnativa dell Oxford Expressway e molto più utile di questa via diretta inglese o i peana nazisti sul pano autostradale di Hitler.

In fondo la ragione di questa vicinanza tra opere di regime e opere di profitto – una distinzione che si sta stemperando man mano che il profitto stesso diventa regime – è il medesimo: la mancanza di un vero dibattito pubblico preventivo e non a scelte fatte imposte raccontando qualche balla e mettendo assieme una narrazione orotodossa che ha sempre una visibilità enormemente superiore alla critiche, E’ anche per questo  che le grandi opere son regolarmente costellate di scandali e di ruberie. Se al contrario si coinvolgesse la popolazione, se il dibattito fosse istituzionalizzato, se i tecnici non fossero impauriti dal prendere posizione, se le bugie o le debolezze di progetto fossero ben presto smascherate, le grandi opere sarebbero molto differenti e per quanto di riguarda da vicino non si butterebbero  miliardi per una tav del tutto inutile e non si sarebbero spese cifre stellari per un Mose che si è rivelato un progetto radicalmente sbagliato. insufficiente e già decrepito prima ancora di essere terminato. O si potrebbe parlare a lungo dell’ampliamento dell’ aeroporto di Firenze ( e relative cementificazioni ) su cui nessuno ha potuto mettere becco, la cui progettazione è stata di fatto secretata e che adesso, che a cose fatte secondo le migliori convenienze dell’affarismo politico che in questo caso ha un ben preciso nome e cognome oltre che una faccia da schiaffi, si vagheggia di sottoporre a referendum, imponendo un si o un no che a questo punto è insensato.

Questo naturalmente interessa pochissimo chi dagli errori trae un maggior guadagno e oltretutto conquista una posizione di potere incontrastato negli affari locali o generali. Così proprio a partire dalle grandi opere si può vedere quanto poco di democrazia reale sia rimasta e quando invece cresca il totalitarismo dei profitti.

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