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Anna Lombroso per il Simplicissimus

Anche grazie ai ripetuti inviti da parte di divini schizzinosi – il più virulento, il filosofo dello Steinhof, Cacciari, insidiato in popolarità dal Moccia del marxismo, Fusaro –  poco inclini all’autocritica, in questi giorni va di moda la vergogna. Per via dell’empio ministro dell’Interno sorprendentemente  criminalizzato anche da quelli che avevano definito la Lega una costola della Sinistra, custode di valori della resistenza, che avevano omaggiato e invidiato il suo “radicamento” territoriale, che avevano sorriso di rituali e slogan come fossero un folklore inoffensivo e che avevano mantenuto un pudico silenzio sul suo predecessore in virtù della sua adesione ragionevole alla realpolitik. Per via del consenso che gli viene dato da chi negli anni è stato autorizzato, anzi consigliato, a prendersela con l’invasione straniera, in modo che spostasse critica e opposizione su chi sta sotto piuttosto che su chi ha usurpato il “sopra”. Ma si spreca anche la vergogna come grido perfetto per funerali, commenti sotto i selfie, invettiva più che legittima contro il governo comunque ladro, in modo da far dimenticare piogge, furti e governi precedenti.

Hanno urlato “vergogna” in questi giorni anche quelli che hanno scoperto che in una guida edita da Feltrinelli l’autore con l’abituale spocchia anglosassone dissuade i viaggiatori in Italia emuli di Goethe o Montesquieu dal recarsi  nell’area a    nord di Napoli, che comprende Aversa e l’Agro Aversano,   definita una distesa di sobborghi poco entusiasmanti, quasi del tutto dominata dalla camorra “tanto da essere a volte chiamata triangolo della morte”.  Per non dire della Reggia di Caserta, città anonima e incongruentemente circondata da una serie di complessi industriali e magazzini”, nota grazie alla fama guadagnata con la sua Reggia vanvitelliana: “struttura piuttosto monotona nella quale la dimensione supplisce all’ispirazione artistica”.

Niente di nuovo insomma rispetto al susseguirsi stagionale  di copertine delle riviste tedesche con la pistola accomodata su spaghetti e pummarola, sul rinnovarsi mai modernizzato degli stereotipi sugli italiani indolenti e peracottari. E niente di nuovo rispetto alla considerazione banale che certi pregiudizi li alimentiamo, che se siamo noi i primi a non rispettare certi beni, certe ricchezze, tanta bellezza e fortuna concesse, e immeritate, dalla lotteria naturale, non siamo autorizzati a pretendere considerazione e  stima altrui. A cominciare da quella dell’Unesco che periodicamente minaccia l’inclusione delle nostre città d’arte, Firenze e Venezia, nei siti a rischio per via dell’espulsione dei residenti in favore dei colossi immobiliari multinazionali  che intendono convertirle in alberghi di lusso diffusi, della fine di attività commerciali e artigianali per promuovere  un terziario che omologa offerta e consumi, di opere che snaturano l’identità e l’ambiente urbano.

Certo viene spontaneo gridare vergogna al borioso cicerone che ricorda certi compositori falliti che retrocessi a critici non risparmiano tenori, soprani e nemmeno Mozart o Verdi. Ma è altrettanto certo che in questi anni  chi doveva avere a cuore  il nostro patrimonio, quelli che si ostinano a definirlo il nostro “petrolio”, quelli che volevano fare degli Uffizi una macchina per fare soldi,  hanno contribuito con la nostra silenziosa correità di elettori, a mutare l’Italia in un Mal Paese dove è concesso anzi doveroso fare cassetta cedendo in comodato o in svendita monumenti, dove opere delicatissime affrontano viaggi transoceanici  per corredare empori di salumi, dove aree archeologiche vengono adibite a passerelle per sfilate di intimo o matrimoni di notabili.

Proprio nei giorni scorsi il direttore della Reggia di Caserta ha annunciato su Facebook, come ormai è d’uso, le sue dimissioni anticipare rispetto alla naturale scadenza. La notizia ha suscitato l’addolorata reazione dei suoi ammiratori soprattutto nelle file del Pd che si dice l’avesse più volte invitato a candidarsi nelle sue liste e che gli riconosce grandissimi meriti. A lui infatti si deve un incremento dei visitatori che soprattutto nei lunedì di ingresso gratuito si accalcano festosi, spintonandosi e berciando al telefono per ritrovarsi nel labirinto di sale, corridoi e scaloni, gli stessi dove è stato immortalato un equilibrista fioraio che si aggrappava ai preziosi marmi per adornarli con i tralci ordinati all’uopo dagli organizzatori di uno dei tanti fastosi matrimoni che hanno scelto la location per la toccante cerimonie e per l’opulento rinfresco, ultima destinazione data alla imponente costruzione che era già servita   come Reggia del Pianeta Naboo in Guerre Stellari, come set della serie Elisa di Rivombrosa, come finto Vaticano nella fiction della Rai sul papa polacco ma anche filmAngeli e demoni, da Dan Brown, come ambientazione per  Mission Impossible 3. Ma non basta, per accrescere la sua popolarità e la sua leggenda l’incontenibile direttore ha immaginato una immaginifica strategia di marketing, simboleggiata icasticamente dall’erezione in occasione del Natale di un corno benaugurale alto 13 metri, costo 70 mila euro che ha fatto meritare al prezioso sito monumentale la definizione di Dagospia  “la Sco-reggia di Caserta”.

Il proposito propagandato dal dinamico direttore e in parte realizzato è stato quello di fare di Caserta un brand  “legando il nome della Reggia a produzioni di qualità … Così, il brand diventerà, sempre di più, sinonimo di qualità e di eccellenza, e i prodotti porteranno in giro per il mondo l’immagine e la magnificenza del monumento stesso”, attraverso il progetto “Reggia collection” d’intesa con il presidente della casa di moda Vodivì srl di Spoleto, Luciano Lauteri, per lanciare sul mercato una collezione di pelletterie “ispirata alle testimonianze artistiche del Monumento vanvitelliano”,  o con  “Amarè”, un amaro naturale ottenuto dall’infusione di erbe ed essenze selezionate nel “Real giardino inglese”, prodotto da una azienda che potrà utilizzare il logo della Reggia per 4 anni in tutta la sua comunicazione aziendale.

Lodevole spirito di iniziativa? ennesima esperienza di mercatizzazione del patrimonio culturale, piuttosto che toglie valore e qualità ai beni comuni per offrirli a chi paga e per giunta poco ( il matrimonio incriminato con tanto di acrobata sul leone marmoreo ha portato alle casse delle Reggia meno di 30 mila euro), sicché l’esproprio ai danni dei comuni cittadini di luoghi che hanno la vocazione e la funzione di nutrire dignità, senso di appartenenza, memoria e senso del futuro non vale l’offesa.

Temo che ne abbiamo davanti di vergogna da soffrire in questo trailer del destino greco, quando le guide sconsiglieranno il pellegrinaggio in quel che resta della culla dell’arte e della cultura, ridotta a accampamenti per sfollati da catastrofi, crolli, inondazioni e terremoti con dietro lo scenario di cartapesta dell’antico splendore.