tris-di-primi-totelliVisto che i giornali e molti siti parlano di cose di cui mi sono occupato con un buon anticipo ( vedi qui, qui, qui, qui ), oggi mi voglio dedicare a un divertissement, parola che appartiene a una lingua morta chiamata francese, parlata prima dell’anglorozzo in qualche zona dell’ europa occidentale. Un piccolo, minimo episodio che proprio per la sua infima dimensione mostra come siamo immersi in un matrice di narrazione nella quale menzogna, banalità e conformismo sono gli assi portanti. L’altra sera, in attesa di non so quale trasmissione sono capitato sull’ennesimo programma culinario, condotto da un figlio di papà romano, tale Francesco Panella, una sorta di gara tra sedicenti ristoratori italiani che hanno i loro locali all’estero.

Chi ha uso di mondo, come si diceva una volta, sa che quella è una strada facile facile: basta saper fare un piatto di spaghetti e buttare una passata di pomodoro nell’olio o combinare qualsiasi pasticcio che farebbe orrore anche alla più miseranda casalinga di Voghera per poter aprire un ristorante italiano in qualche parte del pianeta, Asia esclusa dove sono più informati e più esigenti. In definitiva anche noi quando andiamo al cinese, al giapponese, al messicano o in qualsiasi altro locale etnico spesso non conosciamo affatto i sapori originali e mangiamo senza avere alcun tipo di confronto che probabilmente non avremo mai perché i circuiti turistici convenzionali riproducono il medesimo conformismo dovunque: una volta si viaggiava con la mente rimanendo in una cameretta, oggi si va dappertutto con il corpo rimanendo nella cameretta della mente che nel frattempo è diventata una scatoletta industriale.

Ma a parte questo il personaggio in questione che è imprenditore e non chef o cuoco, ma uno degli agiati rampolli dei proprietari di un ristorante di Trastevere, l’Antica Pesa che in anni passati attirava nasi finissimi e palati turistici, il quale con i dindini della ex dolce vita ha subito aperto un ristorante a Niuyok perché è la meta ambita da tutti i provinciali i quali non si sono accorti che la grande mela è già da decenni il passato. Ora durante il pezzo di trasmissione intercettato ho visto lui, troneggiante come Federico imperatore in Como e narciso come una starlette desnuda, assieme ad altri tre italiani all’estero impegnati a giudicare  un locale pseudo tricolore in Spagna: ai commensali arriva un tris di primi e il Panella esclama indignato che non esiste, che non ha mai visto un tris di primi in Italia. Forse ciò che lo scandalizza è che con il tris non è possibile l’impiattamento acchiappa citrulli della ristorazione contemporanea e dunque anche tutto il paludato smercio di pressapochismi creativi che stanno mandando in malora la nostra ristorazione.

Ora potrebbe benissimo darsi che non sia mai stato in Emilia o in Romagna o nella pianura padana dove il tris una volta era una cosa normalissima e ancora oggi compare spesso nei menù, può anche darsi che non sappia proprio un’acca della storia delle gloriose cucine dello stivale nelle quali  in occasione delle feste la contemporaneità di diversi piatti che oggi chiameremmo primi era la normalità, probabilmente non sa nulla del servizio alla russa e della borghesia francese che letteralmente inventò il ristorante, ma mi chiedo dove sia mai stato costui visto che chi bazzicava Roma e la sua ristorazione ricorda bene che il piatto forte dell’Antica Pesa negli anni d’oro era appunto un tris di primi tra i quali figuravano due paste e un simil risotto con salsa di gamberetti dedicata proprio a turisti di oltre atlantico dal palato sempre così raffinato, in un insieme raccapricciante che  ho avuto la fortuna di non assaggiare. Immagino perciò quale competenza culinaria possa aver accumulato negli anni, quale giacimento di sapere sulla cucina italiana possa nascondere questo ennesimo ologramma televisivo la cui credibilità è affidata solo alla presenza nel piccolo schermo grazie alla quale si mette in tasca bei soldini o almeno lo spero per lui.  E del resto una trasmissione che vorrebbe essere un inno alla genuina italiana in cucina che si chiama Little big Italy la dice lunga sull’insieme e sul suo significato.

Insomma la vacuità è totale, assoluta, così desolante che persino la cucina è stata travolta da sciocchi cliché e da maestri inesistenti, da innovazioni che sono confusioni, da appelli a tradizioni che non esistono e hanno appena cinquant’anni e a territorialità fasulle. Tutto un delizioso mondo dedicato ai camerieri di domani.