testatina curiosità

Quasi certamente non siete celiaci, lo sono soltanto 57 mila persone in Italia, mentre altre 320 mila ne sarebbero affette, ma in maniera asintomatica e non diagnosticata, secondo le stime fornite dall’Associazione italiana celiachia sulla base comunque di statistiche mondiali. Spero anche che non siate colpiti da allergie o “intolleranze” ( termine che spesso non significa nulla) al glutine o meglio alla gliadina che ne è un componente. In realtà la celiachia, è una malattia molto grave, almeno in età infantile, ma oggi tende a debordare molto oltre i suoi confini. Anzi diciamo pure che è una specie di scatola nera per ora riempita di ipotesi scientifiche, di leggende metropolitane e robusti interessi economici. Pensate solo al fatto che la sua incidenza media è la metà di altre allergie come quelle al sesamo o alle arachidi che possono facilmente portare a danni gravi e magari alla morte per choc anafilattico, ma tutta l’informazione è piena di attenzione alla celiachia, mentre agli altri allergeni alimentari che nel complesso riguardano oltre il 10% della popolazione nemmeno si citano, anzi negli ultimi anni il loro uso si è moltiplicato grazie ai cuocastri da tv . Et pour cause visto che il rimedio in questi casi è solo la sottrazione di ingredienti spesso superflui, mentre il celiaco o l’intollerante al glutine ha bisogno di prodotti particolari, ovviamente costosi, con una lunga filiera che va dal campo all’industria alimentare, alla farmacia, al cuoco.

Insomma da un punto di vista commerciale non è un minus valore, ma un plus valore che oltretutto ha il vantaggio di mettere diciamo così in cattiva luce il glutine, anche senza alcun motivo di salute ed estende dunque il raggio della vendibilità di prodotti alternativi che guarda caso procede di pari passo con le mode alimentari d’oltre oceano. Il che in un epoca in cui l’uomo è divenuto una macchina da consumo, non esclude che contemporaneamente vengano proposti al mercato cereali cosiddetti antichi (spesso creati negli anni ’30) o particolari e costose tipologie come il farro che contengono una maggiore quantità di gliadina, Ma viviamo nell’epoca dell’eccesso di sincronicità, dove il tutto e il contrario di tutto è ben accetto purché sia fonte di profitto

Non vorrei dare l’impressione di dire che la celiachia non esiste, cosa lontanissima dalle mie intenzioni che anzi sono quelle di riscattare una malattia che quando c’è è piuttosto grave, né tanto meno quella di considerare inutili i cibi per celiaci, ma ciò non toglie che questa patologia, presenta alcuni problemi non da poco: per esempio come mai essa avrebbe un’incidenza maggiore in alcune aree, come quella mediterranea dove da circa diecimila si campa di cereali e una molto inferiore in Asia dove il consumo di riso è invece più sviluppato? In tutti gli altri casi la sensibilità a certe sostanze è ovviamente più alta dove esse non entrano normalmente nel regime alimentare rispetto alle aree dove invece se ne fa ampio uso: un esempio è l’incapacità di digerire il lattosio che ha una grande incidenza in estremo oriente dove non si fa uso di latte piuttosto che in occidente. Dunque in termini di selezione naturale siamo di fronte a un vero assurdo che rimane anche imboccando la strada della predisposizione genetica la quale peraltro non sembra aver dato risultati significativi, visto che le sequenze geniche che dovrebbero dar origine alla malattia, sono presenti nel 30% o 40% della popolazione mentre solo una piccola percentuale di persone è affetta realmente dalla malattia. Ma non è solo questo ragionamento generale a mettere a dura prova la razionalità e le spiegazioni di comodo, tra cui ultimamente c’è anche quella di un concorso virale. C’è per esempio il caso della Carelia, regione dell’Europa boreale divisa tra Finlandia e Russia, la cui popolazione è geneticamente affine, vive nello stesso ambiente climatico e agricolo e ha molti scambi tra una parte e l’altra del confine. Bene, nella Carelia finlandese con circa 28 mila euro l’anno di reddito medio e un consumo di frumento di 106 kg/anno, l’incidenza della celiachia nei bambini è di 1 su 107, mentre nella Carelia russa con circa 10 mila euro di reddito equivalente ( che calcola il costo della vita e non solo il reddito nominale) il consumo di frumento è molto più alto  –  155 chili per anno – ma l’incidenza di questa patologia è enormemente inferiore: 1 su 495.

Viene da pensare che sia uno stile di vita più opulento a causare tali inspiegabili differenze. Ma un’altra parte del mondo smentisce anche questa possibilità: per esempio tra Algeria e Tunisia i geni considerati responsabili hanno la medesima diffusione  mentre il consumo di frumento pro capite è molto elevato e sostanzialmente identico in entrambi i Paesi Tuttavia l’Algeria sembra avere la più alta prevalenza al mondo di celiachia: il 5.6%, mentre nella confinante Tunisia è una delle più basse al mondo con lo 0.28%, vale  a dire venti volte inferiore.

Viene il dubbio che la maggiore o minore presenza della malattia, nelle sue forme lievi e sfuggenti derivi più da inclinazioni e culture diagnostiche in qualche modo veicolate dall’ambiente e dagli interessi che dalla realtà, ovvero dalla tendenza ad attribuire a qualcosa di non ben definito tutta una serie di disturbi che non hanno spiegazione, non sono nelle competenze del medico o il cui accertamento effettivo è eccessivamente costoso in termini di esami. Sappiamo bene che per molti disturbi infantili una volta si adottava l’origine psicologica, mentre oggi questa propensione è progressivamente sostituita dal vasto capitolo delle allergie o intolleranze o magari vaccinazioni e dunque anche da quelle al glutine che costituiscono una simil celiachia. Se poi non ci sono riscontri, neanche minimi, rimane però l’idea che è meglio far a meno del glutine e il danno si trasferisce dai villi intestinali al portafoglio. In fondo avere certe intolleranze testimonia di uno status sociale.