36411795_2014421638570697_1744926087151878144_nDiceva il grande Parmenide di Elea  (a proposito il nome attuale della città è Velia e gli scavi sono in stato di abbandono) che l’Essere è e il nulla non è. L’Europa invece dimostra che nel mondo contemporaneo solo il nulla politico è, come si è potuto constatare anche nell’ultimo vertice sull’immigrazione che è parso più un manifesto di dadaismo che non una riunione di governanti. Un nulla, quello europeo che è tuttavia riempito dall’essere maligno del mercato, dell’oligarchia, della disuguaglianza e dell’egoismo, una specie di prodotto della fantasia di Soros che non a caso va a trovare presidenti e premier non appena eletti come fosse il capo di uno stato invisibile.

Non so bene se questa Europa di mercato sia un tralignamento rispetto alle speranze o queste ultime erano l’illusione di progredire solo grazie al collante del denaro e della logica capitalistica, anche se una lettura attenta del manifesto di Ventotene, regolarmente mai letto da chi lo cita e mai realmente capito da chi lo ha letto, mi porta irresistibilmente verso questa seconda ipotesi: fatto sta che la questione dell’immigrazione, certo non nuova, ma rimessa in discussione dalla variabile italiana, ha rivelato in pieno gli scheletri della Ue. Come in certi film di fantascienza nei quali gli alieni assumono forme umane anche l’Europa ha un aspetto esteriore che in realtà nasconde e riattizza profonde divergenze di interessi cresciute e acuitesi nel nel tempo invece di diluirsi e mescolarsi, segno inequivocabile che il disegno originario non aveva fatto i conti con la storia e la geografia e nemmeno con i meccanismi di rappresentanza nati dalle rivoluzioni dell’evo moderno.

Comunque sia la radiografia del summit sull’immigrazione ci lascia l’immagine di un continente ancora più diviso di quanto non lo fosse alla vigilia della prima guerra mondiale. Da una parte ci sono i cosiddetti Nove di Bucarest, ovvero i Paesi che hanno partecipato al summit di Varsavia dell’ 8 giugno scorso sotto i buoni uffici della Nato: questi partecipano all’Europa solo perché possono trarne dei vantaggi grazie ai bassi costi del lavoro e alle monete deboli, ma in realtà sono dipendenza diretta di Washington, così come emerge chiaramente dalla dottrina Trimarium di Varsavia. Anche qui possiamo distinguere un asse polacco – romeno di cui fanno parte i Paesi baltici che in odio alla Russia si è svenduto agli Usa e un  gruppo di Paesi, come Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria, Ungheria, Bulgaria meno inclini a questo manicheismo, ma comunque alla ricerca di compensazione dal berlino – centrismo. Poi c’è l’ Europa mediterranea. Italia in primis, visto che la Spagna è di fatti colonia tedesca, che se la deve vedere direttamente con l’Africa, ma privata dai più forti di quella economia e influenza che in passato avevano permesso di gestire la situazione. E’ c’è la Francia che si pone al quadrivio tra i notevoli interessi in Africa, l’elezione di Macron che rappresenta di fatto la finanza internazionale, la tentazione dell’asse carolingio e le tensioni interne, sia sociali, sia territoriali vista la straordinaria rinascita dell’indipendentismo corso. Infine c’è la Germania che vede progressivamente sgretolarsi il tentativo di porsi al centro del comando, non avendo però avuto una classe politica all’altezza del compito, nonostante le classi politiche altrui non fossero all’altezza di vedere e di opporsi al disegno.

Naturalmente all’interno di queste europe, anzi diciamo di questi stati ci sono ulteriori divisioni: c’è la Gran Bretagna che se è andata, ma non del tutto convinta di un passo .che l’elite globalista non gradisce, un mondo fiammingo in fermento, una Germania del Nord che persegue interessi anseatici, una del Sud più rivolta alla mitteleuropa e infine una dell’ Est che cova la Ostalgie, per non parlare della parte balcanica che è tuttora un magma insolubile. Finora, nonostante la crisi creata e poi acuita dalle ricette neoliberiste, si è riusciti a mantenere un precario equilibrio, ma i tempi sembrano davvero precipitare. Lo dimostra anche l’impatto suscitato dalla decisione italiana, giunta dopo un decennio di migrazioni mediterranee e dunque non a sorpresa: un problema di comune accoglimento che nemmeno avrebbe dovuto essere un problema e che comunque avrebbe dovuto essere risolto da lustri, sta esercitando un’enorme forza centrifuga come dimostra anche l’isterico Macron il quale  vorrebbe che lo smistamento, di fatto l’accoglienza vista la situazione concreta, fosse compito esclusivo dell’Italia e della Spagna.

Un tema come quello dell’immigrazione che da qualche anno è stato anche usato come distrazione dai problemi economici e sociali non risolubili con le statistiche compiacenti e con le promesse palingenetiche del liberismo,  è scoppiato tra le mani dell’elite europea, segno inequivocabile dell’ingestibilità finale di un meccanismo ormai logorato.