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Ormai è un cliché consolidato e abusato: il calice di rosso bevuto in pensosa solitudine o come preludio erotico pervade l’immaginario filmico e televisivo, anche in ambiti e culture dove a mala pena si sa che esiste il vino. In una ventina d’anni il vino rosso, prima escluso da questi ambiti modaiolo – meditativi o di surrettizio catalizzatore sessuale, anzi considerato un prodotto plebeo e tendenzialmente da osteria, si è ripulito e ha prepotentemente preso il posto di altri altri prodotti di consumo alcolico e non. Per questo è curioso capire come sia nato tutto questo e quali siano gli interessi e le narrazioni da cui nasce, anche perché con una certa sorpresa ci potremmo accorgere che gli interessi più ovvi e diretti sono del tutto marginali. La cosa infatti è nata all’inizio del millennio quando uno studio condotto su numeri di grandezza demografica e non più circoscritti a poche decine o centinaia di persone scoprì che nel sud est della Francia dove il consumo di carne e l’uso di grassi animali raggiunge il massimo pur nell’ambito di una tradizione culinaria che invoca “du beurre, du beurre et encore du beurre” c’era una minore incidenza di disturbi cardiovascolari che nel resto del Paese. Altre ricerche del genere dettero più o meno gli stessi risultati compresa una in Italia dove si vide che il numero minore di tali disturbi e della relativa mortalità si registrava proprio in Emilia – Romagna che teoricamente avrebbe dovuto essere invece l’area più a rischio.

A questo punto cominciava a traballare tutto un paradigma medico – alimentare che si era andato costruendo per mano principalmente americana fin dal dopoguerra e dove confluivano suggestioni esotiche, studi datati, superficialità di giudizio, teorie frettolose e prive di un credibile retroterra sociologico, nessuna cura riguardo alle modalità di cottura e alla qualità dei prodotti, assenza di ricerche allo stesso tempo rigorose e ad ampio respiro a causa dell’impegno di lungo periodo e finanziario che avrebbero richiesto, ma che soprattutto implicava ormai molte decine di miliardi di dollari di profitti sia da parte dell’industria farmaceutica che della pratica medica nel suo complesso, persino di un mondo alternativo che faceva del contrasto alla medicina scientifica il suo fulcro altrettanto lucroso e infine di un salutismo feticistico che incombeva come riempitivo  della progressiva nientificazione sociale, politica, ideale. Così sebbene già allora cominciasse ad essere chiaro che certi capisaldi (uno di questi è il colesterolo buono e quello cattivo e i loro livelli) non erano così solidi come parevano, si ricorse a un espediente che potrebbe sembrare curioso, anzi un po’ ridicolo per interpretare la realtà senza dover toccare teorizzazioni e ipotesi, farmaci e integratori: se aquitani, occitani ed emiliano romagnoli sono in buona salute nonostante la loro dieta è perché bevono vino rosso e lambrusco. Nel vino infatti si trova il resvetrarolo una sostanza antiossidante che secondo alcuni studi di qualche anno fa era indiziato di avere un’azione antitumorale, antinfiammatoria e fluidificante del sangue. Disgraziatamente la dose minima in grado di ottenere qualcuno di questi possibili effetti, vale a dire 50 milligrammi al giorno (ma i dosaggi terapeutici sperimentali arrivano sino al grammo giornaliero) renderebbe necessario scolarsi da 5 a 30 bottiglie di vino al giorno a seconda della varietà e delle etichette. Quindi occorrerebbe scegliere tra il coma alcolico e la buona salute cardiovascolare.

Come via d’uscita dalla contraddizione non era certo granché, anche perché in realtà nei paesi di tradizione vinicola il bicchiere se lo fanno un po’ tutti, però il sasso era stato lanciato e la comunicazione, la narrazione scritta e visiva, si impadronì di questo suggerimento e immediatamente il vino rosso diventò un elisir di lunga di vita, un vizio salutare, si cominciò a puntare sulla nuova terra promessa del salutismo che, a differenza di altre strade. appariva anche gradevole e adulto. Così il bicchiere di rosso si è imposto. Si deve sostanzialmente a questo l’aumento delle esportazioni di vino in Usa e anche la crescita del consumo in Europa, visto che da allora fa tendenza e fa fico fingere di intendersi di vino, anche se tantissimi neo esperti non sarebbero in grado di distinguere un tavernello da un grand cru se non ci fosse l’etichetta a guidarli. Ma che importa tanto è tutta salute.