NottGliddon1Tutto cambia sempre più vorticosamente, ma tutto rimane anche immobile proprio come le onde marine che non spostano l’acqua orizzontalmente, ma solo in verticale o al massimo lungo un’orbita circolare: i frangenti spazzano i moli, si avventano sui fari, aggrediscono il litorale, frantumano falesie ma l’acqua che li forma rimane più o meno dov’era prima o vi torna dopo una breve e schiumosa ellisse. Così cambiano gli approcci magari gli oggetti di riferimento, ma non  le intenzionalità e il modo di guardare, per cui non ci possiamo stupire di certi eterni ritorni che nel caso di cui voglio parlare ci riportano indietro di circa 2400 anni. Proprio allora verso il 380 avanti Cristo Platone scriveva il celebre dialogo La Repubblica nella quale esprimere a Socrate una delle verità fondamentali della civiltà agricola mercantile, fondata sulla proprietà, nella quale tuttora viviamo nonostante i cambiamenti epocali degli ultimi tre secoli.

Il filosofo di strada  riassume in poche parole l’essenza di una civiltà che conosciamo fin troppo bene: “Voi cittadini dello Stato siete tutti fratelli, ma la divinità, mentre vi plasmava, nel generare quelli tra voi che hanno attitudine al governo mescolò dell’oro e dunque  il loro valore è altissimo; per gli ausiliari (potremmo chiamarlo ceto medio con terminologia moderna) usò argento, mentre ferro e bronzo per gli agricoltori e gli artigiani. a causa di questa generale comunanza di origine dovreste generare figli per lo più simili. Esiste un oracolo per cui lo Stato è destinato a perire quando la sua custodia sia affidata al guardiano di ferro o a quello di bronzo.” Poi Socrate si rivolge a Glaucone con cui sta dialogando chiedendogli: “conosci qualche espediente per indurli a credere a questo mito ?” E l’allievo risponde: “no, non ne conosco, ma ne conosco però  per indurre a ciò i loro figli, i posteri e il resto della futura umanità”. Questo per quanto riguarda gli uomini liberi, senza nemmeno prendere in considerazione gli schiavi.

Come si vede Platone in veste di Socrate enuncia per primo e nella maniera più chiara la teoria delle elites e della società divisa in classi ontologicamente distinte all’origine, ma avendo pienamente coscienza che si tratta di un mito, di una menzogna funzionale al buon governo. Questa concezione fu in gran parte offuscata, quanto meno in termini teorici, dalla contemporanea diffusione della più grande invenzione istituzionale di tutti i tempi: lo stato repubblicano romano che estendeva a tutto il territorio le caratteristiche della città stato e per le necessità connesse a questo allargamento non poteva concepire una distinzione aprioristica degli uomini su base etnica ancorché in stato di schiavitù. A me vengono i brividi quando mi capita di incocciare nelle tristi e ottuse vulgate anglosassoni che non sanno vedere altro che legioni e potenza militare oppure gladiatori nei circhi, ma sono completamente ciechi di fronte a tutto ciò che semmai ne era alla base. Dal 200 avanti Cristo epoca della definitiva affermazione di Roma come potenza egemone nel mediterraneo fino al 300 dopo Cristo, ossia durante la durata effettiva del potere romano, ci fu in effetti una sorta di età dell’oro in cui il servaggio era un fatto sociale e funzionale, ma non rispondente a una diversa essenza degli uomini tanto da dare origine al concetto di Humanitas. Ovviamente si trattava di una società elitaria, ma i passaggi di condizione sociale, per quanto ardui ardui e rari, soprattutto negli ultimi secoli, non erano impossibili.  Poi col cristianesimo, con la fragilità dell’occidente che trasformò ben presto i pastori di anime in gestori del potere civile, ossia grazie al peccato originale della chiesa cattolica, le vecchie concezioni,  mai del tutto sopite rispuntarono: il monoteismo imponeva che dio stesso venisse coinvolto nella storia e perciò man mano ritornò in auge il concetto del potere come diritto divino: l’ingiustizia e la sopraffazione erano questioni da dirimere nell’altro mondo, ma il comando e il servaggio non erano arbitrio, derivavano invece dalla volontà del signore celeste che garantiva il potere e lo arricchiva persino di un contenuto magico o sacrale derivato dal paganesimo arcaico con la possibilità per esempio dei re di guarire i malati (vedi nota).

Difficile tematizzare in poche parole questo lungo passaggio attraverso la lotta delle investiture, la servitù della gleba, lo scontro con le società orientali e infine la grande espansione negli oceani, ma il risultato è stato paradossale alla luce del messaggio evangelico cui il monoteismo cristiano dice di far riferimento: un ritorno della schiavitù, prima concepita solo come condizione per gli infedeli, poi estesa all’essenza umana di questi ultimi e alla inferiorità dei selvaggi incontrati nelle americhe. La schiavitù era ammessa proprio perché si tratta di esseri inferiori, così come la servitù era giusta perché negli imperscrutabili disegni di dio.

Ho titolato questo post una lezione americana perché è alla luce di questi concetti, sia pure imborghesiti dalla riforma protestante che i Quaccheri puritani si imbarcarono sul Mayflower: l’inferiorità degli uomini di altre religioni, di altro colore di pelle, di altre culture  e la ricchezza come segno del favore divino. E è attraverso questo “passaggio a nord ovest” che la questione si prolunga oltre i margini delle rivoluzioni e perciò entra entra nel mondo moderno, mano a mano si riveste di scienza, vi fonda i suoi alibi e si estende alla lotta di classe per arrivare fino a noi. Thomas Jefferson fu forse uno dei primi fautori di una tipica teoria americana nata nella prima metà dell’ottocento, quella della poligenesi  umana che si prefiggeva di ergersi a giustificazione dello schiavismo oltre ché del massacro delle nazioni indiane: le varie razze hanno origini indipendenti e dunque hanno diverse capacità, laddove quella bianca è decisamente superiore: “Avanzo anche solo come sospetto l’ipotesi che i neri fossero originariamente  una razza distinta o resa distinta dal tempo e dalle circostanze, che siano inferiori ai bianchi per caratteristiche sia corporee che mentali”. Un’ idea del resto sorprendentemente coltivata dallo stesso Lincoln che sino alla fine della sua vita si oppose al suffragio della popolazione di colore, dimostrando che le ragioni della guerra di secessione risiedono in altri interessi. Abbiamo da questo punto di vista abbondanza di testimonianze che vengono sia dai dibattiti Douglas che da notazioni personali pubblicate per esteso un secolo dopo da George Sinkler in un libro mai tradotto per la colonia italiana, “The racial attitudes of American Presidents, from Abraham Lincoln to Theodore Roosevelt”. Eccone un piccolo esempio: “Uguaglianza del negro!  Frottole! Per quanto tempo nel governo di un Dio grande abbastanza da creare e reggere l’universo, dei bricconi continueranno a spacciare e gli sciocchi ad arzigogolare un argomento di bassa demagogia come questo.”

Tuttavia mentre queste parole venivano pronunciare la scienza progrediva, c’erano già le lezioni Cuvier, di Lamarke, di Humbodt e già prima della guerra di secessione era stata pubblicata l’origine delle specie di Darwin, un soffio prima che Wallace giungesse alle stesse conclusioni: la teoria della poligenesi era al tramonto, ma si apriva allo stesso tempo una grande spazio per il razzismo moderno che aveva oltretutto un grande vantaggio rispetto a quello fondato su un qualche dio o investitura metafisica: quello di poter valere indifferentemente sia per le altre etnie, che per tutti i cittadini e le classi inferiori che cominciavamo a diventare perciò stesso i nuovi negri: la potente leva che vediamo all’opera anche oggi, anzi oggi più che mai in tempi di neoliberismo si chiama determinismo biologico.  E’ la “cosa” di cui parleremo nella seconda parte.

Fine prima parte

 

Nota Dalla linguistica sappiamo che il termine Re (rex in latino, rix in celtico e raja nei dialetti indiani) si è conservato agli estremi dell’area indoeuropea e indica originariamente un elemento sacerdotale e sacrale (sanscrito rag àn) che ritroviamo poi nelle corti dei miracoli, mentre lo stesso termine in ambito germanico perde in parte questo elemento e si concentra più sul semplice potere dando origine attraverso reiks a reich che indica sia un impero che la ricchezza, rich in inglese e via dicendo.