princess-kSbC-U43480558694315p2E-1224x916@Corriere-Web-Sezioni-593x443Diciamola tutta, da decenni il premio Nobel è diventato una farsa. Non parliamo di quello della pace che grida vendetta per le sue scelte tutte segnate dagli interessi opachi dell’occidente. Non parliamo di quello dell’economia, che in realtà è un premio della Banca di Svezia che viene spacciato per Nobel senza che l’Accademia Svedese dica nulla perpetuando consapevolmente un equivoco persino scandaloso (vedi nota) . Non parliamo nemmeno di quelli per la scienza che sono ormai un fatto interno delle università anglossassoni e dei loro baronati accademico- editoriali. Non parliamo neppure di quello per la letteratura che praticamente dal dopoguerra funge da futile estensione della politica includendo solo rarissimi esempi di scrittori non occidentali o non occidentalizzati e ostracizzando i paesi al fuori logiche imperiali e sub imperiali: basti dire che gli unici russi a ricevere il premio sono stati i modestissimi Pasternak, Solochov e Solgenitsin, ma solo per ovvie e volgari ragioni di guerra ideologica, mentre un’ampia scelta di grandi ed eccellenti  scrittori da Tolstoi, a Checov, da Gorkij, a Goncarov, Mandel’štam, Majakovskij, Bulgakov, Achmatova, Cvetaeva,  Esenin, è rimasta esclusa quando nell’elenco dei nobelati figurano molti illustri sconosciuti o personalità a cui il tempo ha regalato la nativa modestia.

A questo si aggiunge il gusto non proprio straordinario degli accademici boreali per cui . rimanendo in Italia, D’Annunzio, Fogazzaro, Gozzano, Verga, Pascoli, Ungaretti, Saba, Marinetti, Gramsci, Svevo, Calvino, Bassani, Sciascia, Pasolini, Moravia, Levi, Tomasi di Lampedusa, Luzi, Sanguineti tanto per fare qualche nome tra i possibili candidati non sono nemmeno stati presi in considerazione, mentre il premio è andato a tale Grazia Deledda, scrittrice nota ai suoi tempi, ma oggi pressoché sconosciuta e di fatto illeggibile oppure a Dario Fo che insomma…

Adesso però si comincia davvero a dare i numeri: il Nobel per la letteratura 2018 non sarà assegnato e non perché la letteratura occidentale sia in evidente stato preagonico, ma perché  il fotografo Jean Claude Arnault, marito di un membro dell’accademia che assegna i premi , è stato coinvolto in uno scandalo di mano morte su culi regali e fastidiose avances nei confronti di personalità damigellari avvenute vent’anni fa. Ma cosa mai c’entra questo con il Nobel della letteratura? Che mondo è mai questo dove la morte di mezzo milione di bambini irakeni sono “un prezzo che vale la pena” senza che nessuno s’indigni, mentre di fronte alle palpatine scatta l’esecrazione e saltano i premi?

Di certo non credo sia un mondo dove possa esserci una letteratura degna di questo nome: l’ignavia morale e il declino immaginativo vengono messi in rilievo con altrettanta forza sia dalla noncuranza criminale nei confronti del mondo altro, sia dalle esagerazioni indotte da un neo puritanesimo normativo che serve appunto a sostituire la coscienza con un insieme di regole ferree ancorché contraddittorie. Infatti nella vicenda non soltanto non c’entra nulla il premio, ma nemmeno la  moglie del fotografo palpatore, la scrittrice  Katarina Frostenson che si è dovuta dimettere dall’Accademia di Svezia senza alcuna colpa se non quella di aver sposato un cliccatore seriale di lati b, per giunta rispetto ad accuse non confermate dalla casa reale, non provate e che non lo saranno mai, visto che il presunto reato è andato in prescrizione e le testimonianze sono solo roba da rotocalco e da protagonismo spicciolo come in tanti altri casi.  Così grazie al cretinismo del MeToo (la cosa ha preso vigore proprio in quell’ambito) che rappresenta alla perfezione le forme di primitivismo culturale all’americana, una donna incolpevole ci ha rimesso le penne. Del resto a giudicare dal caso Assange pare che in Svezia non manchino accusatrici pronte alla bisogna: c’è infatti chi insinua che questa vicenda di vent’anni fa, rispuntata all’improvviso, sia stata riproposta appositamente per silurare la  Frostenson e il centro di cultura che dirige ( e che godeva anche fondi dell’Accademia) al fine di superare la sua avversione a qualche nome che doveva vincere. Saranno anche voci di sottofondo, però almeno tutto questo avrebbe un senso.

Ma che cavolo di premi vogliono o possono dare questi che grondano conformismo e tendenza di giornata da tutti i pori? Sarebbero intollerabili come giudici anche alla pesca parrocchiale: forse sarebbe l’ora di lasciare in pace il povero Nobel e mettere un pietoso velo su tutto questo visto che l’Accademia di Svezia non ha più né l’autonomia intellettuale e politica che poteva avere al tempo in cui il premio fu istituito, né probabilmente possiede le forze necessarie a un riconoscimento che vorrebbe essere globale nelle sue intenzioni. Così almeno potrebbe vincere un piccolo premio di dignità.

Nota Per toccare con mano ciò che voglio dire basta soltanto riferirsi alla insostenibile modestia dei contributi che valgono questo falso Nobel e che sono in realtà più un premio di fedeltà al liberismo e al suo potere accademico. Nel 2016 per esempio vinsero Oliver Hart di Harvard e  Bengt Holmström del Mit, i quali hanno elaborato una mirabile teoria  dei contratti che stabilisce come sarebbe bene legare le retribuzioni dei dirigenti  ai risultati ottenuti, che in qualche caso gli impiegati andrebbero premiati con promozioni, ma anche che all’interno di un team possa accadere che alcuni sfruttino il lavoro degli altri senza averne merito. Come direbbe qualcuno:  ” sti cazzi”.