Napoli, Miracolo di San Gennaro al DuomoPurtroppo ancora una volta sono stato un facile profeta: negli anni passati avevo più volte espresso l’opinione che il M5S fosse divenuto troppo grande per essere gestito da Grillo e Casaleggio, e non da quella che potremmo chiamare una sorta di segreteria politica, tuttavia quando confusamente e in modo anche turbolento questo processo si è in qualche modo messo in moto sono emersi personaggi , come dire, non appropriati a un movimento inteso a cambiare le cose e men che meno a governare concretamente questo cambiamento. In particolare Di Maio, espressione quasi lombrosiana della democrazia cristiana meridionale, proveniente da un piccolo notabilitato locale ontologicamente privo di progettualità politica, ma propenso unicamente all’eterna mediazione fra interessi spiccioli e in questo senso dotato di una certa plasticità dialettica e ideologica, come se fosse un alter ego di Renzi.  Tanto plastico che nel corso della campagna elettorale si sono via via persi per strada i temi del Movimento, fino all’accettazione praticamente totale delle logiche europee e dunque le ragioni dell’opposizione a  una governance sostanzialmente oligarchica.

Ma la voglia di cambiamento degli italiani, l’urgenza di liberarsi del marcescente milieu politico tradizionale era tale che questi svicolamenti all’inglese non hanno impedito un’epocale vittoria elettorale. Senonché subito dopo le urne ecco che il problema centrale del governo da mettere insieme non è più stato un programma del resto magicamente rimaneggiato all’ultimo momento, non la ricerca di alleanze sulla base di questo e del suo contesto per così dire politico – morale, ovvero lotta alla corruzione, ai privilegi e alla disuguaglianza, ma è diventato la premiership di Di Maio stesso. Così gli interlocutori principali non sono più stati i cittadini ma i vecchi e noti poteri. Dire che sarebbe stato facile stabilire alcuni punti non contrattabili sulla base dei quali raccogliere i deputati necessari al governo, lavorare testardamente su quelli e di fronte all’impossibilità di cambiare le cose favorire un ritorno alle urne o lasciare che gli altri, uniti in una santa alleanza, cercassero di accreditarsi come interlocutori ancora validi e saldi del grande capitale finanziario.

Così non è stato forse perché i padroni del vapore avevano già individuato nel Movimento Cinque stelle un possibile sostituto di un Pd e compagnia cantante ormai logorato dal proprio tradimento, così come anni prima era stato individuato e sostenuto Renzi come protagonista finale di quell’abiura. Fatto sta che in breve tempo il reddito di cittadinanza si è ridotto a un semplice potenziamento del reddito di inclusione, l’abolizione della legge Fornero è scomparsa dai radar così come la cancellazione del Job Act, l’Europa è stata santificata, la Nato riaccolta a braccia aperte come come le tesi neo liberiste,  mentre in contemporanea Marchionne ha detto che non c’è ragione di temere i Cinque stelle, la Confindustria ha rivelato che nel Movimento c’è una possibile opportunità e persino la Conferenza episcopale che campa riccamente dei soldi e dell’opacità dello stato dello stato, trova che c’è bisogno di una soluzione nuova. Insomma in milioni hanno votato per fermare la rapina del Paese e del futuro dei cittadini nelle sue varie forme e adesso quei voti saranno presumibilmente utilizzati contro di loro.

Naturalmente tutto questo per i pasionari dei Cinque stelle più dediti al tifo che alla lucidità, si trasforma in una raffinata manovra che Di Maio sta conducendo per dividere sia il centro destra che il centro sinistra, riducendo tutto il cambiamento atteso ad un ennesimo e manovriero teatrino in cui si parla di tutto salvo che delle cose da fare. Cioè esattamente lo spettacolo che non si voleva vedere. E purtroppo c’è da dire che l’ottuso farfugliare dell’informazione mainstream che conduce la guerriglia anti di Maio sui congiuntivi, sulle gaffes e su sciocchezze simili come se combattesse per un milieu raffinato, di profonda cultura e spessore, tende a nascondere il vero problema piuttosto che a metterlo in rilievo. Del resto lo stesso Grillo proprio ieri intervenendo a difesa di Di Maio parla di vecchi partiti che cercano di riprendersi il potere, assolve il premier in pectore  da ogni sospetto di bramosia di potere, ma lascia completamente scoperto il lato del che fare.

Eppure anche in mezzo al baccano pare che qualcuno cominci a capire che fra tante aperture e chiusure di forni  non salterà fuori nemmeno una pizza quattro stagioni: le elezioni in Molise e Friuli lo dimostrano al di là di qualsiasi ragionevole dubbio. Ora si può pensare che la svolta retrograda impressa da Di Maio fosse già da tempo nelle cose e la si potesse individuare in quell’azienda così “amerikana” come la Casaleggio, oppure che le ultime vicende siano da addebitare solo a inesperienza e a goffaggine o ancora che il Movimento ha drammaticamente e completamente sbagliato cavallo o infine al fatto che il M5S esiti a formare un governo che dovrà immediatamente passare sotto le forche caudine dei conti di Bruxelles e dei massacri sociali richiesti: probabilmente c’è del vero in tutte queste tesi, ma alla fine rimane il fatto che a guardare e sentire di Maio vengono in mente le nozze con i fichi secchi e quell’Italia impolitica e occasionale che fa naufragare ogni ribellione. All’uomo sbagliato nel momento sbagliato.