nebbiaNon si finisce mai di imparare e alle volte si rimane davvero sorpresi da insospettabili scoperte e quindi – lasciando per un momento la triste realtà – voglio fare partecipi i lettori di una chicca scoperta per caso nei giorni scorsi, il brano di una lettera scritta 140 anni fa  da un autore che viene generalmente considerato come una retroguardia della letteratura, ma che, stile a parte, sembra invece quanto mai attuale: “La civiltà dei borghesi dice di avere assicurato l’eguaglianza a tutti perché tutti, anche lo spazzino, lavorando, studiando possono venire a più alti gradi. La società borghese dice alla plebe bada io sto quassù, su questo monte, tu sei padrona di venirci quando vuoi, io non manderò i miei valletti a respingerti a bastonate o sassate. Non hai le gambe? Vieni se no la colpa è tua che sei poltrona”.

Sembra di sentire da un lato le miserabili litanie comunicanti sul sogno, sul cuore, sul mettercela tutta accettando qualsiasi sfruttamento, sulla colpevolizzazione di chi non ce la fa e dall’altra di assistere plasticamente al taglio delle gambe sotto forma di castrazione dei diritti della scuola e della distruzione della scuola. Anzi forse questa analisi è più vera oggi di quanto non lo fosse ieri quando la famosa plebe non se ne stava con le mani in mano, atomizzata e dispersa ma lottava duramente per avere le gambe e il cuore, eppure di questo autore si conoscono solo altre cose, per così dire più leggere, tanto che io stesso pur avendo fatto le elementari a non più di 300 metri dalla sua casa museo, non sospettavo nemmeno l’esistenza di prese di posizione così profetiche. Peraltro il personaggio, classicista incallito, aveva in qualche modo anticipato la trasformazione del romanzo in oggetto di consumo dopo 200 anni di gloria, ma tutto ciò che sappiamo di lui sono qualche verso da mandare a memoria alle elementari perché successivamente c’è da vergognarsi a frequentare in simile autore, come se la scelta  operata sulla sua produzione per ovvi motivi ideologia innanzitutto e poi di scuola letteraria, lo esaurissero in una ristretta dimensione infantile.

Pero ora non vi dico di chi si tratta, ma voglio sfruttare questo aneddoto per mettere in rilievo come sia difficile e complesso liberarsi delle verità di comodo, di quelle costruite a tavolino o letteralmente inventate, siano esse di giornata o frutto di una lunga consuetudine che le ha rese rituali. E di come questi ritagli sul mondo reale  non siano mai casuali, ma determinati dal pensiero dominante. Così dell’autore in questione non conosciamo quasi nulla: alcuni versi, peraltro non tra i migliori e invece nulla della sua militanza socialista, repubblicana e persino anticlericale, che del resto ha informato di sé qualche aneddoto riguardante la sua presunta conversione monarchica, il suo divenire ministeriale che del resto pare essere un destino italiano quasi obbligato. Ma l’Italia monarchica, quella fascista e poi democristiana e infine quella post moderna potevano aver spazio per questa dimensione? No davvero e dunque è stata semplicemente cassata o appena vagamente accennata come fosse una malattia che è meglio non prendere, il che non è soltanto una deformazione del personaggio, colpevole di anti romanticismo, ma anche di tutta la nostra recente storia d’Italia: basti pensare che prima di lui, pomposamente chiamato vate della nuova Italia, alla Normale di Pisa per gli studenti era obbligatoria la messa al mattino e il rosario la sera. Altro che passatista.

Forse a questo punto avrete capito che si tratta di Carducci, Ma agli irti colli ora c’è solo la nebbia sociale.