The-Square-10Finalmente ho visto The square il film svedese di Ruben Östlund che ha vinto a Cannes e a cui il titolo inglese, nella sua ambiguità, non rende affatto giustizia. Il protagonista immateriale non è infatti una piazza, ma un quadrato luminoso posto davanti a un immaginario museo che il direttore dello stesso ha voluto come “istallazione” dominante per una mostra cui tiene molto. Il film parte come una divertente  satira  sul mondo mercificato e vacuo dell’arte contemporanea e in questo senso è godibilissimo, ma andando avanti ci si rende conto che tutto quanto gira attorno alla mostra evento in allestimento, compresi finanziatori, critici, impiegati del museo, creativi della comunicazione con le loro degenerazioni, artisti di tendenza, pubblico acculturato e il curatore stesso non sono che installazioni di un mondo “alto” e di potere che attraverso l’auto narrazione politicamente corretta cerca di nascondere la separazione assoluta dal mondo di chi sta più in basso.

Lo dimostra il quadrato stesso che nelle intenzioni dovrebbe essere “un santuario di fiducia e altruismo, al cui interno tutti condividiamo uguali diritti e doveri”, cioè dovrebbe esprimere il senso stesso se non la lettera delle Costituzioni democratiche, basate appunto sull’eguaglianza, ma diventa invece capriccio, invenzione artistica, artificio destinato a un ceto di privilegiati che giocano a fare i progressisti. Strano che nessuno abbia messo in rilievo questo elemento che è invece centrale e lo segnala anche il fatto che nella trama il museo non è altri che l’ex palazzo reale mentre il quadrato viene allestito dove sorgeva il piedistallo di una statua del re poi distrutta. Il protagonista vero, evidente ma evidentemente occulto ai chiosatori di cinema che fanno da grande schermo ai loro editori, è proprio il fantasma della democrazia che del resto vien evocato anche nelle successive disavventure del direttore. Ovvero un quadrato che sostituisce la piazza metaforica e dove l’uguaglianza non è che un momento ludico. Perché si sa il popolo, quello vero, viene poi rappresentato da una “performance” offerta agli incliti finanziatori in cui l’artista, se così vogliamo chiamarlo, fa la parte di un uomo primitivo imprevedibile e violento che dà fastidio agli astanti graziosamente assisi a tavoli imbanditi, i quali alla fine si gettano su di lui per pestarlo, nonostante sappiano che si tratta di “arte” o comunque di finzione che essi stessi finanziano con una generosità negata invece al lavoro.

Tutto questo naturalmente viene classificato come provocazione dai piccoli borghesi della critica reazionaria che oltretutto non riescono proprio a sfuggire ai più miserandi e abusati cliché, ma si tratta invece di qualcosa che vediamo all’opera quotidianamente, che può essere ravvisato nella sua completezza formale alla Commissione di Bruxelles, così come nella vicenda dell’Ilva: si può stare con il popolo solo fino a che non si spendono che parole e buoni propositi, ma quando quest’ultimo pretende di mettere bocca e infastidisce la plancia di comando con le sue richieste, allora sono botte da orbi. Di certo questo film costituisce un unicum inaspettato nel quadro di un cinema in stato preagonico dal punto di vista dell’intelligenza e del buon gusto, tutto preso a proporre trucchi infantili per distrarre il pubblico con la scusa che far pensare nuoce al botteghino, mentre The Square dimostra  che si può graffiare a sangue ed essere divertenti. Ma è anche un unicum perché la Svezia in qualche modo lo è rappresentando un sistema monstre, un compiuto modello di socialdemocrazia e al tempo stesso anche di individualismo ontologico e dunque essenzialmente neoliberista. Tutto il sistema è stato costruito non su una società solidale e tesa verso l’eguaglianza, ma sulla libertà degli individui in quanto tali, sui figli che non devono chiedere ai genitori, sui pensionati che non devono dipendere dai figli, sulle donne che non devono dipendere dai mariti o viceversa e via dicendo. Insomma è una società che fornisce un aiuto non a stare insieme con dignità, ma a liberarsi gli uni dagli altri. Ed è proprio questo tipo di modello che è entrato in crisi  dimostrando ancora una volta che non si può puntare tutta la posta sulle libertà individuali, nonostante questo appaia oggi come il massimo di modernità fasulla.

In tale cornice il film diventa chiarissimo: le sole libertà formali con tanto di cacciata della monarchia, non sono sufficienti a creare una società in rotta verso un futuro migliore se poi si deve ricorrere a un episodico quadrato di uguali diritti e doveri che non vengono espressi nella loro concretezza nella piazza, ovvero nella comunità, ma costituiscono un opportuno trompe l’oeil per il potere della razza padrona.