In un certo senso la festa della Liberazione, pur rimanendo nel calendario, è stata abolita dalla politica politicante 8 anni fa quando Violante, insigne rappresentante della sedicente sinistra, disse che l’Italia l’avevano liberata americani, inglesi, australiani e neozelandesi (si è dimenticato dei marocchini), che la Resistenza aveva solo dato una mano e che in virtù di questo gli Usa ci avevano permesso di elaborare una nostra Costituzione. Insomma una sorta di teoria utilitaristica, priva di qualsiasi idealità politica e nello stesso tempo – paradossalmente- una visione del tutto lucida del regime di libertà condizionata concessa dall’ impero che imponeva l’obbligo di firma ad ogni governo ed esigeva la conventio ad excludendum per il partito comunista. Pena la morte, come sappiamo.
Ora è abbastanza ovvio che il valore della Resistenza non può essere misurato né direttamente sul piano puramente militare, né su quello della convenienza politica e nemmeno sul piano degli eventi più o meno spiacevoli che si sono verificati: è il riscatto di un popolo da una dittatura, l’aspirazione alla democrazia popolare, ma anche alla sovranità nazionale ovvero alla cittadinanza messa sotto i tacchi dai vecchi come dai nuovi padroni, sia pure in modi diversi. Il problema è che proprio questo valore è ciò che da decenni non si vuole più riconoscere, nemmeno da parte degli eredi legittimi, per non parlare dei nipoti degeneri e nemmeno sotto forma di innocua retorica. La liberazione è insomma qualcosa di rimasto a metà, stroncato dalla geopolitica dei liberatori, così come dal vecchio e incallito notabilato parassitario che è passato dal farsi cucire camicie nere dalle sartine di quartiere, all’improvviso liberismo cosmopolita e bancario o persino al comunismo perché si sa che tutto può cambiare purché nulla cambi e specialmente lo status di concreto privilegio. Insomma la Resistenza si è espressa a pieno come rivolta dei ceti popolari e particolarmente operai oppressi dal fascismo che ne aveva cancellato i diritti e la voce, mentre la Liberazione si è espressa soltanto a metà.
Anzi in un certo qual senso ne è stato il contraltare: la documentazione storica della quale oggi disponiamo non prova, ma suggerisce fortemente l’ipotesi che le operazioni alleate sul fronte italiano furono accelerate proprio quando teoricamente ce ne sarebbe stato meno bisogno, principalmente per impedire che la Resistenza in gran parte di marca comunista e socialista, finisse per sottrarre la Penisola al nuovo ordine anglo americano. Lo sbarco in Sicilia nel 43 e gli altri sulle coste tirreniche, miravano a far uscire l’Italia dalla guerra e permettere alle truppe alleate di attestarsi nel nord del Paese, minacciando da vicino la Germania, mai immaginando che un ceto dirigente, cialtrone e codardo oltre ogni aspettativa, avrebbe operato in maniera così sconsiderata e superficiale da far saltare questa possibilità e permettere l’arrivo in forze della Wehrmacht, che sebbene in enorme inferiorità numerica e di mezzi costituiva un osso durissimo, specie su un territorio montano e collinare come quello italiano. Osso duro che tuttavia nei primi mesi venne affrontato con tutta calma, ben sapendo, per esempio, che la comunità ebraica italiana era esposta ora a un pericolo molto maggiore e che la Repubblica sociale si dedicava alle sue giornate di Salò.
Il fatto è che proprio nel corso del ’43 sull’immenso fronte russo le parti si stavano invertendo; la sconfitta tedesca a Kursk determinata dalla follia di Hitler che si era intestardito a nel voler portare a tutti i costi un’offensiva a cui mancava completamente l’effetto sorpresa – mentre generali e gerarchi tra cui lo stesso von Ribbbetrop – suggerivano di chiedere a Stalin una pace separata – determinò una generale avanzata sovietica che fece temere agli alleati un dilagare dell’Urss nel resto d’Europa. Così tutto lo sforzo fu spostato sull’invasione della Normandia che prometteva un più facile avanzamento verso la Germania senza le Alpi di mezzo. Solo nella seconda metà del ’44 gli alleati capirono che la crescita dei reparti partigiani e la loro presa sia sulle istituzioni civili che sulla popolazione rischiavano di portare l’Italia nel vero campo avverso che in definitiva era quello più quello dell’alleato sovietico che non quello del nemico nazista ormai condannato. Da qui un accelerazione martellante delle operazioni militari determinatasi proprio nei mesi in cui l’Italia era divenuta ormai un fronte secondario. Tanto che gli americani hanno avuto più caduti in questa incalzante risalita della penisola negli ultimi mesi che su tutti gli altri fronti e conflitti dalla loro nascita, esclusa solo la guerra di Secessione.
E’ ovviamente un’ipotesi, ancorché fondata su documenti disponibili, ma che si accorda a meraviglia con il dopoguerra nel quale fu imposta una sostanziale continuità del potere con il blocco di qualsiasi reale epurazione e con la finale amnistia. Praticamente solo i gerarchi rimasti e i podestà delle maggiori città furono allontanati, ma tutta la struttura dirigente, burocratica e poliziesca rimase in piedi, praticamente intatta, proprio perché mantenesse il Paese nel recinto alleato. Ma questa è la storia successiva che richiede un’altra liberazione.
La Resistenza, purtroppo, non venne riconosciuta dalle potenze vincitrici al momento di chiudere le trattative di pace a Parigi.
A De Gasperi venne fatto notare che i movimenti partigiani non sorsero durante i primi tre anni di guerra del regime fascista, ma solo dopo la sua caduta e, quindi, l’Italia venne trattata come Paese sconfitto con perdita delle colonie e amputazione del territorio nazionale.
Poi, le vicende della lotta antifascista vennero giocate a livello politico nazionale, ma, come è noto, sotto molti aspetti la Prima Repubblica presenta una certa continuità col regime fascista, ad esempio a livello amministrativo, giudiziario e di apparati di sicurezza per volontà angloamericana.
In modo più scoperto la stessa cosa è avvenuta in Spagna, col mantenimento della dittatura franchista in funzione anticomunista.
Nonostante tutto, ci è andata ancora bene, perché le intenzioni di Churchill e degli inglesi andavano nella direzione di una punizione feroce nei nostri confronti.
Il leader inglese parlava di riduzione a colonia agricola in senso anche formale, a livello di possedimento africano.
Fummo in qualche modo salvati dagli americani, rimanendo comunque un Paese a sovranità più che limitata.
Temo, però, che i vecchi progetti inglesi di riduzione dell’Italia a dipendenza agricolo-turistica degli Stati dominanti euroatlantici stiano riemergendo con forza.
il valore politico della resistenza e della liberazione è ciò che si vuole negare, quando si sposta il discorso sulla maggiore importanza militare degli alleati con la loro risalita in italia.
S mai, ci sarebbe da chiedersi se davvero la resistenza dovesse prevedere una alleanza delle forze della sinistra con i partiti monarchico, liberale ed anche democristiano , come di fatto ci fu con la formazione del Comitato di Liberazione Nazionale. In fondo, la conferenza di Jalta era di là da venire, ed i giochi erano ancora aperti.
A tale proposito pochi valorizzano il fatto che le truppe russe che arrivarono in Austria, penetrarono anche nel territorio italiano, sia pur di poco. Truppe cosacche stazionarono in alcuni comuni del veneto settentrionale. Io sono di quelle parti e ne ho spesso sentito parlare da vecchi partigiani, costoro paradossalmente mi hanno lasciato la sensazione che sotto sotto avessero più stima dei tedeschi della wehrmacht (non le ss), che non delle truppe americane con le quali pure erano entrati in contatto
da non confondersi con i cosacchi inquadrati nelle waffen-ss, presenti nel friuli ed in austria, di cui la storiografia revisionista si è invece molto occupata, per descriverli come ulteriori “vittime di stalin”
Violante allora si è dimenticato anche i polacchi. Furono i primi ad entrare a Bologna il 21 aprile 1945.
buon articolo.