article-trump-snl-2-1107Meglio di così non poteva andare: quando due anni fa in piena campagna presidenziale dissi che Trump avrebbe mostrato gli Usa per ciò che erano e per ciò che erano sempre più diventati, non mi aspettavo una declamazione così rapida, così chiara persino così parodistica dell’America profonda: ma ogni giorno vediamo minacce di tutti i generi, bombardamenti dimostrativi in conto menzogna, tracotanze inammissibili, sanzioni assurde,  intimidazioni contro l’industria europea o contro quella cinese e in ultimo, proprio ieri anche un avvertimento di gravi ritorsioni nei confronti dell’Italia in caso di disingaggio dalle politiche sanzionatorie contro Mosca, rese ancor più corpose dalla strana coincidenza di un messaggio dell’Isis che accusa il nostro Paese di essere ” il più  grosso ostacolo  nell’Ue al far pagare Russia, Iran ed Assad per i crimini passati e presenti in Siria. Un bell’accordo non c’è che dire, ma anche un fatto particolarmente odioso perché interviene nel processo di formazione del governo e dunque si profila come una intromissione negli affari interni ben più grave di quella che gli Usa fingono di avere sofferto da parte di Putin e per la quale chiedono vendetta.

Intendiamoci lo status coloniale italiano dura senza remissione dal dopoguerra dopo la breve parentesi della Resistenza che in gran parte combatteva sì le truppe tedesche, ma in nome di ideali e speranze che erano all’opposto politico e geopolitico dei liberatori: dopo l’unica preoccupazione è stata che il Paese rientrasse negli ordinamenti dell’impero vuoi con la mancia iniziale del piano Marshall,e vuoi favorendo per via politica la corruzione diffusa dell’infedeltà allo stato, vuoi attraverso stragi e assassinii eccellenti oppure facendo da garanti e supervisori di forze politiche create ad hoc. Tutto questo che ha avuto analoghi in parecchie parti del mondo appariva tuttavia fuori fuoco e in qualche modo confuso su un sfondo monocromo che quasi scompariva di fronte al concitato primo piano, ma Trump ha avuto il merito di rendere ben visibile la condizione di sovranità inesistente i cui ultimi brandelli sono stati ceduti all’Europa delle oligarchie capitalistiche che a loro volta fanno riferimento a Washington ideologicamente e non solo. Lo ha avuto tra l’altro presentandosi con un programma che alludeva a logiche diverse, ma che si è rivelato inattuabile non solo per l’opposizione interna  delle elites globaliste e del complesso militar – industriale, ma perché ad insaputa dei protagonisti, la natura degli Usa si è determinata in questo modo ormai da due secoli e alla fine può essere solo velata, nascosta, dissimulata, ma non imbrigliata e cambiata, comunque non nel giro di pochi anni e forse nemmeno di pochi decenni.

A questo punto ci troviamo di fronte a due problemi che si incastrano drammaticamente: la consapevolezza del servaggio che abbatte tutti i pietosi veli accumulati dalla politica come fossero le banderuole dei monasteri tibetani e nel contempo la sensazione che gli Usa stiano perdendo il ruolo centrale che detengono da oltre un secolo e quello assoluto che hanno daegli anni ’80. Qui non si parla tanto del piano militare dove pure non mancano numerose e spiacevoli  avvisaglie di declino e di debolezza, ma di quello più generale di centro propulsore del mondo. E’ ben noto, anche se insospettabile all’uomo della strada tenuto in camera oscura dall’informazione dominante, che  ormai l’Asia sta prevalendo in fatto di investimenti tecnologici, che la Silicon Walley sta passando in secondo piano, così come Las Vegas è diventata un circolo di bingo di fronte alle città casinò asiatiche. Lo ammette lo stesso Wall Street journal che qualche giorno fa ha pubblicato questo articolo (per leggerlo occorre registrarsi) in cui si vede come negli ultimi anni si sia determinato un sorpasso a fortissima velocità negli investimenti tecnologici e a lungo termine che oggi in Asia sono il doppio rispetto agli Usa con una crescita costante nel tempo, ma al contempo esplosiva negli ultimi periodi, in una sorta di effetto valanga. A questo si aggiunga che la violenza e la prevaricazioni con cui si caratterizza l’impero trovano invece un contraltare nel particolare marshallismo cinese che punta invece alla compartecipazione.

Questi due elementi, maggiore visibilità di una condizione rigidamente coloniale e tormentato declino del padrone, sono i fattori per così dire strutturali sul piano storico atti a determinare determinare un cambiamento che non sia solo occasionale o di facciata, lo stesso che probabilmente ci si immaginava avrebbe prodotto l’Europa unita prima di scoprire che non si trattava che di una dependance di Washington per giunta infiltrata da autonomi mini imperialismi che tirano calci agli stinchi.  Ora tutto sta a vedere se esiste ancora una cultura in grado di cogliere il passaggio, di vedere le sue opportunità e i suoi punti critici oppure se ci si trovi di fronte a un’angolo cieco, alla permanenza di visioni che hanno il loro miserando immaginario nel mondo unipolare e neo liberista o che al contrario si sono così cristallizzate nella sconfitta da essere del tutto inutilizzabili.