basic-incomePiù volte negli anni scorsi, in tempi per così dire non sospetti (vedi qui ad esempio), ho espresso la mia contrarietà alle formule correnti di reddito di cittadinanza o reddito di base garantito, ma adesso che i Cinque stelle, principali portatori di questa idea hanno sfondato le barriere elettorali, un gran numero di persone prima silenti, è diventata critica e fa notare che tale proposta è anche quella dei grandi ricchi, che preferiscono buttare i soldi dall’elicottero piuttosto che alzare i salari, ripristinare i diritti e la dignità del lavoro. Fino ad ora il biasimo era espresso sulla base di presunte ragioni contabili che tenevano conto solo delle uscite, ma mai del ritorno sotto forma  di tasse dirette e indirette, di aumento dell’attività economica, di taglio di molti servizi ed esborsi assistenziali che alla fine ridurrebbero la spesa a una frazione di quella ipotizzata e che anzi teoricamente potrebbero anche produrre persino un attivo dopo qualche anno. Se si vogliono fare i conti della serva bisogna farli bene.

Solo adesso e in maniera tendenziosa esce fuori, oltre al solito fumus iper bottegaio e ottuso sull’assistenzialismo, anche l’argomento vero, quello mai prima citato, mostrando che se è una cosa che suggeriscono tipi come Elon Musk, Zuckerberg, Richard Branson o Stewart Butterfield o che magari è nelle intenzioni di governi ultra liberisti come quello finlandese, gatta ci cova. E infatti ci cova, ma fino a quando il progetto era un tema di opposizione era meglio non sottolineare troppo l’interesse verso queste forme di reddito completamente slegate dal lavoro, mentre ora ci viene spiegato dagli aedi di ogni massacro sociale che o non serve (che è una cazzata), che ci vuole ben altro (il rifugio dei cretini) o che è un lato oscuro della new economy (la nulladicente finta sinistra dei giornaloni debenettiani). Certo è impressionante come da un dibattito quasi nullo su un argomento così importante, si sia passati d’un botto  a una ossessiva mitragliata di  criticismo.

In realtà forme non di reddito di cittadinanza vero e proprio, ma di assistenza reddituale esistono in tutta Europa e in molte realtà – vedi la Germania dove esistono diverse forme di integrazione al reddito – sono servite principalmente all’aumento dei profitti dell’ 1%  della popolazione, consentendo la caduta dei salari e la loro precarizzazione grazie al sostengo della mano pubblica: i milioni di mini job creati in questi anni e sotto il minimo vitale lo dimostrano chiaramente. Il fatto è che il reddito di cittadinanza o di base crea due effetti sinergici uno di tipo culturale, l’altro pratico che sono la tomba della politica e della libertà: da un lato l’idea di reddito viene completamente separato dal lavoro e dalle sue dinamiche facendo scomparire la dialettica tra le parti, la rivendicazione e i suoi strumenti nonché il sistema dei diritti, dall’altro consente alle aziende di pagare salari molto al di sotto dei limiti vitali, tanto c’è comunque il paracadute del reddito minimo aprendo lo scenario a un baratro di regresso inimmaginabile.

Non è certo un caso che questa prospettiva sia nata nei primi circoli neoliberisti degli Usa, dopo la pubblicazione di “Capitalism and freedom” (1962) da parte di Milton Friedman, e ben si sposava con l’ondata di privatizzazioni radicali che venivano progettate e nel cui quadro il reddito elargito incondizionatamente fungeva da contraltare. Oggi la medesima proposta viene di nuovo messa in campo per evitare il crollo della domanda aggregata e nello stesso tempo favorire una drastica caduta delle retribuzioni per la gioia dei portafogli degli azionisti e del manager. Una qualche idea delle conseguenze lo possiamo avere se esaminiamo l’effetto delle privatizzazioni in Italia che ha permesso da un lato la perdita di una quantità enorme di posti di lavoro, la sostituzione di gran parte dei contratti a tempo indeterminato con rapporto di lavoro precari e la nascita di un piccolo ceto parassitario, adiacente alla razza padrona, che godendo delle strutture  a suo tempo pagate con le tasse dagli italiani e delle medesime forniture si è limitato a percepire il profitto di bollette, biglietti e quant’altro, lasciando decadere tutti i servizi non essendo in grado di sostenerli con il personale  mal pagato, raccogliticcio e dunque anche incompetente a 360 gradi che ingaggia. Il reddito di sostegno non farebbe che elevare al quadrato tutto questo aggiungendoci un consistente aumento delle tariffe.

Da un punto di vista razionale sarebbe molto più logico diminuire in maniera drastica gli orari di lavoro, migliorare l’assistenza nel tantissimi campi in cui è gravemente carente, far ripartire la scuola e l’assistenza sanitaria, creare nuove attività per coprire la maggiore disponibilità di tempo, ma tutto questo provocherebbe un calo dei profitti per i ricchi e una permanenza della dialettica del lavoro invece della servitù della gleba a cui si sta andando incontro e dunque viene visto dalle oligarchie come il fumo degli occhi che preferiscono di gran lunga la beneficenza.

Ah ma così non ci sarebbe competitività! Balle, la competitività si fa sul prodotto, sulla qualità, sull’innovazione il che implica una crescita globale del Paese, della sua scuola come della sua civiltà e solo molto marginalmente sui salari tanto che Forbes ha scoperto come le retribuzioni medie in Cina superino ormai quelle dei Paesi dell’Est europa e si avvicinino moltissimo a quelle delle situazioni precarie da noi:  il salario mediano nella regione di Shangai è di 1.103 dollari al mese, in quella di Pechino di 983 dollari e di 938 in quella di Shenzen, tre regioni che da sole hanno un numero di lavoratori manifatturieri superiore a quella dell’Europa occidentale. Dunque bisogna respingere sempre e comunque l’idea di reddito di cittadinanza o di base? No a patto però che esso non sia una semplice elargizione pro consumo o funzionale alla pace sociale, non sia insomma una riedizione del basso impero, ma si inserisca in una serie di regole: che venga speso interamente nel Paese di riferimento e per beni o servizi prodotti al suo interno, qualora sia possibile, in modo da consentire una compatibilità economica, che sia almeno il doppio del minimo vitale, che faccia da base per qualsiasi altro tipo di retribuzione da lavoro la quale dovrà essere in ogni caso almeno il 20% superiore al reddito di base. In questo modo favorirebbe un circolo virtuoso e non vizioso, la crescita di aziende competitive sul prodotto, sul sapere e non sullo sfruttamento, la scomparsa del terziarismo da rapina, consentirebbe alle persone di non dover sottostare a qualunque ricatto e umiliazione spingendole dunque davvero a migliorarsi in presenza di qualche prospettiva effettiva e dovrebbe essere accompagnata da un sostanziale ritorno al pubblico dei servizi universali. Ma viviamo in un mondo in cui tutto l’irrazionale è reale e tutto il reale è irrazionale: proprio per questo la concretezza diventa un’utopia.