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La bomba dei miracoli

buzzIn questi giorni paradossalmente si è parlato con cordoglio più degli agnelli sacrificati per i riti pasquali che non delle persone che muoiono a migliaia in tutte le guerre e conflitti messi in piedi dalle oligarchie occidentali del denaro e dello sfruttamento: ma il cordoglio eticamente asimmetrico non deve stupire più di tanto visto che esso non è che un aspetto dell’evasività e ambiguità di chi vuole cavarsela a buon mercato nell’affrontare il mondo. Del resto di che dovrebbero dolersi le pecore, ovvero le future vittime sacrificali? La contemporaneità ha i suoi topoi, il suo buon bon ton, i suoi luoghi comuni, le sue vie di fuga e i suoi tabù.

Pensavo proprio a uno di questi ultimi, il leader nord coreano Kim Jong-un che deve essere definito pazzo se non si vuole essere presi per pazzi e che nei giorni scorsi ha incontrato di persona, dopo un lungo viaggio fatto su un treno militare, il presidente cinese Xi Jinping. Si tratta in realtà di un giovane leader ereditario, anzi del più giovane governante al mondo dopo Matteo Ciacci che regge San Marino, di cui fino al 2012 nessuno sapeva nulla e che veniva accreditato come l’ultimo della dinastia tanto si era certi che sarebbe stato spazzato via aprendo intere praterie alle mire occidentali. Invece si è rivelato abile almeno quanto il nonno Kim il Sung nel gestire le complesse e spesso sotterranee linee che legano la Corea del Nord al resto del mondo.  Dapprima si è guadagnato il rispetto degli anziani secondo la dottrina confuciana, poi ha dovuto affrontare il nido di vipere del partito che – si diceva – lo avrebbe mangiato in un sol boccone, epurando alcuni personaggi e promuovendone altri con una politica mirata che si è rivelata molto efficace ed è riuscito persino a giocare sulla rassomiglianza fisica col nonno per ottenere il favore popolare. Poi il “pazzo” ha tessuto una complicata rete psicologica che ha messo nel sacco un po’ tutti. Fin da subito ha compreso che la Corea del Nord faceva gola a troppi, specie all’amministrazione americana alla quale di certo non sarebbe dispiaciuto operare a ridosso della Cina, sapeva che vi sarebbero state operazioni di destabilizzazione, nonostante l’apparente isolamento del Paese, che la Cina avrebbe agito con cautela e così ha puntato sulla bomba: ha visto che fine hanno fatto quelli che non l’avevano come Saddam e Gheddafi o come al contrario venga trattato con prudenza il Pakistan che la possiede, soprattutto da quando le nuove armi missilistiche russe e cinesi di tipo non balistico  hanno mandato a carte quarantotto tutta la strategia Usa basata ormai da un  quarto di secolo sul first strike e sul ricatto del medesimo. Ed è la stessa ragione per cui si teme che anche l’Iran o chiunque altro entri nel club di chi può dire di no.

Kim Jong-un sapeva perfettamente che questo elemento avrebbe cambiato le cose e d’altro canto l’atomica e certe logiche erano quasi di casa in Corea del Nord: negli anni precedenti la guerra mondiale è proprio lì che gli scienziati giapponesi avevano creato un impianto per lo studio della fissione atomica sull’onda di quanto avevano scoperto i ragazzi di via Panisperna a Roma e poi Fermi a Chicago. Ma solo dopo lo scoppio della bomba di Hiroshima per disperazione i comandi militari si accorsero della possibile applicazione militare di quegli studi: troppo tardi, gli scienziati nipponici fecero sapere all’imperatore che la messa a punto di un ordigno atomico avrebbe richiesto non meno di sei mesi nella più ottimista delle ipotesi, ma più probabilmente due anni vista la carenza disperata di materie prime del Giappone che tra l’altro avrebbe impedito comunque un’efficace difesa delle isole in vista di un’invasione convenzionale. Al punto che numerosi storici concordano con l’ipotesi che le bombe siano state sganciate non tanto per far arrendere un Giappone già di fatto piegato e disposto alla resa, come emerge dalle documentazioni ormai disponibili, quanto per mandare un messaggio all’Urss.  Ma tutto sarebbe stato diverso se i giapponesi avessero avuto una possibilità di replica.

Non so quanto queste suggestioni possano aver giocato nella Corea del Nord dopo la guerra: sta di fatto che Kim Jong-un ha costretto tutti a un negoziato. Dopo il leader cinese sarà la volta dell’incontro a Mosca fra Putin e il ministro degli esteri di Pyongyang, mentre il 27 aprile ci sarà il vertice con il presidente sud coreano Moon Jae-in e a fine maggio quello con Trump.  E’ fin troppo evidente che se la Corea del Nord può solo scalfire gli Usa, può però mandare all’aria il suo sistema di alleanze nel pacifico costringendo così  la Corea del Sud a una politica di apertura molto diversa da quella a cui è stata costretta da Washington. Se questo è un pazzo, noi siamo scemi.

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