downloadIeri sono incappato casualmente  in uno dei grandi problemi che stanno dividendo  il Paese e uno dei pochi ancora sottratti alle decisioni di Bruxelles o della Bce, ossia se la pizza di  Cracco sia una schifezza o una sublime squisitezza. Certo a guardarla parrebbe in grado di suscitare una sanguinosa rivolta alla Caritas, ma che sia buona o meno è una questione priva di senso perché non si sta giudicando un vero cibo e un vero cuoco, ma il prodotto di un brand globale culinario completamente autoreferenziale al quale ti accosti perché fa figo, perché sei niente e dunque sei di tendenza, perché non vuoi isolarti dalla minestra servita dalla comunicazione di massa, perché dimostra il tuo status sociale o ti fa sentire parte di una elite, anche a costo di ingerire orrori: se le patatine industriali sponsorizzate dal medesimo Cracco costassero 200 euro a sacchetto e si chiamassero Cracchotte  andrebbero a ruba. Scherzo, ma nemmeno tanto perché il 5% delle famiglie italiane detiene oltre il 40 per cento della ricchezza nazionale, un patrimonio medio che ammonta a 1,3 milioni di euro e quindi potrebbe benissimo permettersi questo cibo degli dei oggi presidio schifood per il 30 per cento delle famiglie più povere che tutte insieme non raccolgono che l’ 1% della ricchezza del Paese, secondo le ultime statistiche Istat.

Del resto questa è la peculiarità cognitiva dell’era contemporanea: non è importante ciò che è, ma ciò che viene proiettato in due dimensioni dai potenti dell’immaginario. Non sembri irriverente se adesso accosto Cracco a Hawking, la cui scomparsa sta sommergendo l’intero web di epitaffi grazie a un fenomeno molto simile all’effetto pizza: pochi sanno scrivere il nome dello scienziato inglese senza copiarlo, pochissimi sanno per quali motivi sia così famoso e anche quelli che hanno letto di buchi neri e di big bang ( mi raccomando non Big Ben) non hanno idea di quale sia stato il contributo dello scienziato a queste teorizzazioni, forse poche centinaia di migliaia di persone dell’intero pianeta si chiedono se esse siano davvero così importanti e meno ancora si chiedono perché Hawking sia così famoso e non lo siano altrettanto Jakob Bekenstein e James Hartle che formularono per primi le ipotesi che lo hanno lanciato nello spazio dell’immaginario globale. Forse accade perché non ci si vuole sottrarre alla rappresentazione delle ombre cinesi e isolarsi dal rito della comunicazione di massa  anche se non si ha la minima idea di chi e di cosa si stia parlando e nemmeno passi per la testa l’idea che il personaggio possa aver fatto abbondante aggio sullo scienziato. Dalla cui bocca i media sembravano pendere, mentre era in qualche modo il contrario: infatti andava tutto bene quando si favoleggiava dell’origine dell’universo, ma quando nei primi anni ’90 Hawking disse che senza il servizio sanitario pubblico non avrebbe potuto lavorare e forse sopravvivere l’informazione già nelle grinfie dei soliti noti lasciò cadere la dichiarazione nel buco nero delle cose da non riferire o comunque da non mettere troppo in risalto. Insomma non si stiamo parlando della persona Hawking, ma di una immagine costruita in modo del tutto artificiale.

Oggi in effetti la notorietà si configura come anonimato estremo, essendo sempre un ologramma non solo sovrapposto al mondo reale come in passato, ma che ne prende totalmente il posto. E anche quando si ha a che fare con fattori quantitativi che non possono essere del tutto alterati, essi vengono confusi sullo sfondo nella certezza che  la scarsa, quasi inesistente memoria a lungo a lungo termine impedirà confronti. Torniamo per un attimo nelle cucine: il viaggio dentro la pizza di Cracco mi ha portato fatalmente a leggere qualcosa sull’ultima edizione di Masterchef che non ha mai raggiunto il milione di ascolti medi nemmeno nei momenti clou: i numeri sono lì puntata dopo puntata, edizione dopo edizione, a dimostrare prima la salita di interesse negli anni scorsi e poi il calo di attenzione. Eppure ci sono quotati giornali o siti che come se nulla fosse parlano  di grande successo, di volo degli ascolti che raggiungono quelli della tv generalista: tanto sono veramente pochissimi quelli che si vanno a leggere i dati auditel o che possono farlo a distanza di poco tempo e dunque fare confronti, ciò che conta è la narrazione, la fiction dentro la quale tutto questo viene conglobato e che poi trascina concorrenti e vincitori dall’astruso mondo della cucina virtuale a quello in un universo ancora più astratto di “consulenze” e marchette di vario genere dopo essere diventati dei grandi chef dopo aver cucinato ben 24 piatti.

Sia la pizza di Cracco che la termodinamica dei buchi neri sono sottoposti alle medesime leggi narrative, perché ormai viviamo in un mondo che ci sfugge pur essendo fin troppo ossessivo nella sua ingombrante presenza, un mondo estraneo come fosse soltanto in leasing e con precise istruzioni contrattuali su come usarlo.