124058421-c55331df-2e36-4512-9250-1ac1800e0e47Devo dire di essere assai poco interessato alle bestialità che si sentono e si leggono sui risultati elettorali e sugli effluvi di odio nei confronti di chi ha scardinato i vecchi assetti di potere: chi non comprende che il punto di rottura è nelle cose o è un pallido prigioniero di feticci oppure un Kapò, che se ne renda conto o meno. Da anni tutte le ragioni del declino economico e democratico erano squadernate nel mondo reale, anche se non nei think tank e nelle redazioni dei giornali e ancora qualche giorno fa uno dei più importanti pensatoi della socialdemocrazia tedesca, la stessa che ha dato agli alcolizzati di Bruxelles la soddisfazione di tornare obtorto collo  in coalizione con la Merkel,  ha pubblicato un lungo saggio degli economisti Jörg Bibow e Heiner Flassbeck ( qui ) i quali finalmente riconoscono che ” Se l’euro è stato concepito come un mezzo per organizzare e garantire una prosperità condivisa in Europa, ha sicuramente fallito”. E ribadiscono che l’ipotesi delle oligarchie europee secondo cui la persistente debolezza economica dovuta al ritardo delle riforme strutturali è solo una superstizione della teoria economica mainstream, secondo la quale i mercati devono essere liberati da tutte le rigidità, poiché così renderanno possibile – sempre e ovunque – “la crescita più veloce e la massima felicità generale”.

Ciò che davvero è impressionante è però la grossolanità e il semplicismo di queste formulette che del resto le elites hanno usato per imporre una regressione economica e sociale all’intero continente e che per opportunismo o inadeguatezza culturale vengono fatte proprie dal gregge informativo che pascola nei cortili del potere. I cliché vengono accatastati gli uni accanto agli altri senza alcuna visibile consapevolezza dell’incoerenza interna, segno inequivocabile del fatto che non si tratta affatto di idee, ma di luoghi comuni.  A questo proposito è interessante richiamare un’analisi fatta qualche mese fa sulla scaletta di una puntata di Report dedicata all’Europa in funzione chiaramente agiografica dell’unione continentale, dell’internazionalismo di maniera e dei progetti federativi, qualcosa di totalmente estraneo alla natura della trasmissione dedicata all’ inchiesta giornalistica e alla denuncia delle storture del sistema.

Va detto che sebbene si tratti del miglior programma di informazione di tutta la panoplia televisiva in lingua italiana, non sono mancati nel tempo gli “adeguamenti” al potere che conta in televisione e i killeraggi (il più evidente quello nei confronti di Di Pietro, qualche anno fa), eppure dall’analisi fatta nel novembre scorso dal blog Il Pedante, si rimane davvero senza fiato di fronte alla scansione delle contraddizioni, impietosamente smascherate dall’autore:

  1. La Germania ha imposto l’austerità che tanti guai ci ha portato, non rispetta le regole, disunisce il continente e sfrutta i lavoratori degli altri Paesi.
  2. L’austerità è una buona cosa e siamo noi che ci ostiniamo a spendere soldi pubblici
  3. La Ue è più indisciplinata di noi

Da tutto questo i curatori del programma evincono che dobbiamo farci governare dall’Unione Europea a trazione tedesca. Ora è evidente che chi sceglie di prendere in giro se stesso e gli altri con questo tipo di assurdità logiche non potrà mai “riconoscere” per così dire i risultati delle elezioni e attribuire loro ragioni che non siano quelle routieniere e miserabili del populismo o di altre espressioni political modaiole. Anzi secondo alcuni commentatori tra cui Marcello Foa, proprio l’insistenza sulle malefatte pubbliche e private degli italiani è un modo di alludere alla necessità dello stivale di essere governati da altri. Che così a prima vista potrebbe sembrare l’affermazione finale di una sorta di sogno europeista, sia pure in chiave grottesca, ma che in realtà si inserisce in un lungo anche se minoritario filone autolesionista che ci accompagna da un secolo e mezzo, spesso finanziato da fuori, secondo cui gli  italiani sarebbero incapaci di governarsi da soli. E questo dopo aver spiegato che i nostri mali derivano da altri.

Non dico di fare pace col cervello perché per prima cosa bisognerebbe averlo, nè posso suggerire a un generone così agiato da potersi permettere il dilettantismo intellettuale e  camparci più che confortevolmente, di cominciare a leggere qualcosa che non siano i risvolti di copertina o gli instant book, nè di perseguire almeno un minimo di coerenza nel maneggiare i rimasugli feticistici di ideologie e idee mai realmente diventate cultura nella loro vita. Dico solo che sarebbe l’ora di tacere o di dire qualcosa di intelligente. C’è sempre, dopotutto, una prima volta.