part1Questo è un Paese che stupisce sempre, così difficile da interpretare che uno si chiede dove sia il trucco come di fronte a un gioco di prestigio: le ultime elezioni ci hanno messo di fronte a un quadro che è forse quello meno auspicato dalle oligarchie europee le quali pensavano a un Pd ancora centrale anche senza Renzi e un Berlusconi in grado di contenere la Lega: invece si sono trovati di fronte al completo sfascio delle forze di riferimento in misura non ancora eguagliata in nessun Paese dell’Unione. Eppure c’è qualcosa che stona in questa esplosione  di voglia di cambiamento: il fatto che il Movimento 5 Stelle, incarnazione di un possibile rinnovamento, abbia sfondato davvero solo nel momento in cui Di Maio ha annacquato il messaggio in senso governista, accettando in gran parte i presupposti e i posposti di Bruxelles, tra cui ovviamente la riduzione della spesa pubblica che in soldoni vuol dire meno welfare o più tasse, ma assai spesso entrambe le cose. E naturalmente tollerando una enorme limitazione di sovranità.

In tutte le altre situazioni conosciute da Podemos in Spagna, a Fn in Francia, per non parlare dei laburisti inglesi pre Corbyn o dei socialdemocratrici tedeschi ogni “normalizzazione” del messaggio ha significato anche calo di consenso per l’ovvio motivo che il cambiamento atteso non traspariva più in maniera limpida da queste forze. In Italia invece è accaduto l’esatto contrario: i cinque stelle hanno faticato non poco ad imporsi come forza di opposizione alla casta economica politica, ma sono riusciti a sfondare sul serio solo quando hanno, per così dire, abbassato la voce. E’ pur vero che lo straordinario successo lo si deve in primo luogo agli avversari e ai quattro anni di inclassificabile governo Renzi, cosa che per un partito come il Pd ormai privo di un blocco sociale che non sia quello clientelare e salottiero, è la fine, ma questo non spiega tutto.  Manzoni, autore forse sopravvalutato scolasticamente, ma certamente sottovalutato letterariamente, aveva icasticamente sintetizzato questa situazione psicologica con l’adelante con juicio del governatore Ferrer al cocchiere Pedro: rapido, ma con lentezza. Ora su questo si possono fare molte considerazioni che vanno dalle ipotesi sul prossimo governo alle idiozie della stampa embedded, in primis quella che passa per De Benedetti e che ora per vendetta strilla sul Regno delle due Sicilie di di Maio, riprendendo esattamente gli stereotipi sempre condannati di un Sud clientelare, come se fossero ignari che la Dc e poi Berlusconi e poi il Pd stesso hanno ampiamente e variamente vissuto di questa rendita.

Però le cretinerie vengono a noia, ciò che appare evidente da tutto questo è che la maggior parte degli italiani non ha ancora una lucida e precisa cognizione della situazione del Paese e solo negli ultimi due anni, nonostante la sgangherata e rificola campagna su una presunta ripresa, si fa strada una qualche consapevolezza della gravità della situazione, del fatto che le cose non torneranno mai più come prima per magia e men che meno per opera di partiti complici del disastro, che le forze politiche lasciate ancora per un lustro alla guida del Paese sono le principali interlocutrici del capitale internazionale e delle sue ricette, oltreché mere esecutrici dei voleri europei. Tuttavia è ancora troppo poco per affrontare cambiamenti radical che a questo punto sono gli unici significativi e necessari: se è vero che la stravittoria dei Cinque Stelle, fa crollare un sistema politico ormai diroccato e nascosto da trompe l’oeil, è anche vero che si cerca ancora una soluzione per quanto possibile liscia. In poche parole il popolo non è più bue, ma nemmeno è ancora toro.

Tutto però lascia pensare che una volta tratto il dado, una volta caduta la prima diga psicologica e di fronte al sempre più netto  infuriare dei trattati di Bruxelles e delle sue basi ideologoche sul martoriato Stivale, il malcontento finirà inevitabilmente per crescere e per dare origine a un panorama politico completamente diverso, magmatico e plastico, dove ci sarà anche un enorme spazio per una nuova sinistra, emendata da cliché ammuffiti, con idee al posto di feticci sciamanici, dotata di una strategia e non di surrogati, priva di inutili complixazioni e al tempo stesso di semplicismi, libera dal minoritarismo ontologico così come dal governismo a tutti i costi e aliena dalle ammucchiate di nicchia che alla fine non portano da nessuna parte se non alla scomparsa. Sono convinto che da oggi in poi l’evoluzione delle cose si farà molto più rapida e che non c’è troppo tempo da perdere per essere protagonisti.