images (5)Alla fine dell’800, in definitiva meno di un secolo e mezzo fa, esisteva a Londra un bassofondo chiamato Old Nichol nel quale la gente si accatastava in cantine senza finestre, senza riscaldamento, con il soffitto alto un metro e mezzo con la possibilità di avere un solo letto per intere famiglie e anche per topi e parassiti di ogni genere, tanto far apparire la topaia Gorbeau come un paradiso. Tuttavia se confrontiamo gli affitti pagati da questi disgraziati per metro cubo, ci accorgiamo che essi erano quattro volte superiori rispetto a quelli delle case più eleganti del West End. Si potrebbero fare mille esempi, in ciascun Paese d’Europa, ma questo è quello per cui si sono conservate documentazioni esatte e si può anche vedere che i percettori degli affitti erano spesso membri del Parlamento, pari del regno, grandi ecclesiastici.

A quei tempi però c’erano anche due forze che si opponevano a questa inevitabile logica del capitalismo verso la disuguaglianza: la prima era la nascita di un potente movimento operaio che non poteva essere ignorato e che anzi era meglio sedare mettendo una pezza sulle ingiustizie più cocenti, la seconda era la spinta del capitalismo produttivo il quale ovviamente desiderava che gran parte dei salari finissero in consumi vivi piuttosto che nelle mani dei rentier. Infatti – qui arriviamo al punto – gli affitti nell’inferno di Old Nichols assorbivano  il 25% di un salario medio e la cifra saliva se si trattava di situazioni abitative meno orribili. Ora facciamo caso a quanto rastrella oggi l’affitto della casa su una retribuzione media e vediamo che la percentuale sale a oltre il 50 per cento.

Che cosa è successo? Negli ultimi 40 anni il neoliberismo è riuscito ad acquisire un’egemonia culturale per cui l’opposizione alle disuguaglianze  organizzata politicamente e socialmente si è estinta, mentre l’estensione dei mercati, le rivoluzioni tecnologiche, le delocalizzazioni hanno ammortizzato l’effetto della la caduta dei consumi, rendendo morbido il passaggio successivo all’economia finanziaria, nella quale  il rendimento del capitale aumenta più rapidamente della crescita della produzione economica, per cui l’economia della rendita con tutti i suoi corollari è diventata l’asse principale: insomma una volta che si ha denaro e proprietà in quantità superiore alle necessità, si può usarlo per accumulare più denaro e proprietà, accaparrandosi una parte sempre maggiore della ricchezza della società, attraverso la raccolta di ciò che si potrebbe chiamare affitto economico, ovvero la gestione di risorse non facilmente riproducibili. E questo coinvolge ovviamente la casa, ma anche tutti quei servizi indispensabili e universali sui cui le logiche aziendali hanno messo le mani essendo fonte di guadagni facili a costo praticamente zero visto che la mano pubblica prima svende sottocosto e poi è costretta comunque ad intervenire in caso di necessità  (vedi qui il caso delle ferrovie inglesi). E’ evidente che senza un ostacolo su questo cammino poco a poco, ma per la verità ormai abbastanza rapidamente, la ricchezza e dunque il potere saranno concentrati in pochissime mani, secondo la logica inevitabile del capitalismo che è nato nelle sua forme moderne con la peste nera della metà del ‘300 e finirà diventando esso stesso la peste. Se non viviamo ancora nelle topaie non è certo per la volontà delle elites del denaro, ma perché ancora conserviamo qualcosa delle conquiste fatte nel secolo precedente e in qualche modo assestatesi nel trentennio successivo alla guerra mondiale nel quale l’eccezionale sviluppo fu favorito da tasse molto basse per i ceti popolari e altissime per i ricchi e gli abbienti: in tutto l’occidente le aliquote massime arrivavano a superare il 90 per cento, arrivando al 94% in Usa: con quei soldi si è costruito lo stato sociale e sono state possibili le tutele sul lavoro e sulla salute.

Poi alla fine degli anni ’70 cominciò la controffensiva, pri e si iniziò a dare credito alla curva di Laffer ( che comunque per buona pace dei bottegai più ottusi suggeriva che le imposte governi non generano ulteriori introiti al di sopra di aliquote di circa il 70% ),  ad aumentare le imposte ai poveri e a diminuirle ai ricchi, dando inizio a un’era di caduta della democrazia sostanziale e di impoverimento generale, di nuova ingiustizia radicale a mala pena nascosto da un’opera di rimbecillimento consumistico lucidamente messo in atto. Si tratta di un processo che verrà fermato o con una immane devastazione bellica, o con una rivolta interna in nome della civiltà. Quindi amici miei per evitare che i nostri nipoti siano schiavi di un faraonato globale, imbarbarito e demente, bisogna scendere in campo subito contro queste logiche, intanto cominciando a far mancare il consenso formale e elettorale verso chi è le sostiene apertamente o ipocritamente o per gioco parlamentare essendo comunque subalterno al sistema e poi ricostruendo la politica. Capisco che a sinistra la vecchia sindrome di accerchiamento è diventato un istinto che va alla ricerca di traditori ad ogni minimo dissenso: ma temo che sia un passato da dimenticare e rinnegare se si vuole avere una minima possibilità di futuro.