Carlo-CalendaIeri  mi sono davvero divertito a guardare i notiziari che parlavano dell’ira di Calenda, come fosse quella di Achille. Al ministro dello sviluppo economico,  non è andato giù lo sgarbo fatto dalla Embraco, ramo della Whirlpool, che si è permessa di annunciare la decisione definitiva di chiudere lo sbailimento di Chieri e licenziare 500 persone senza dare ulteriore corso alla commedia delle trattative per dare la mazzata dopo le elezioni. Quando questo nipote di Comecini, figlioccio di Montezemolo, protetto di Murdoch, portavoce di Confindustria parla di gentaglia e di irresponsabilità dell’azienda si riferisce proprio alla disgraziata e maleducata scelta dei tempi che rischia di colpirlo direttamente. Non si vede infatti perchè non si sia mai accorto a suo tempo, nè abbia sfoderato la durlindana, quando la “gentaglia” di cui parla aveva licenziato 500 persone in Trentino nel 2013 mentre  altri 2000 li aveva fatti fuori nel 2015 dopo l’acquisizione e ristrutturazione della Indesit: eppure anche allora era vice ministro e sempre dello sviluppo economico.

Eppure è sempre lui che ha fatto della libertà d’inquinamento e di morte dell’Ilva una sua bandiera. Eppure era nel governo quando è stato votato il job act che ha distrutto i diritti del lavoro frutto di decenni di lotte: con quale faccia, con quale credibilità ora ci viene a dire che i licenziatori “dimostrano una mancanza di attenzione al valore delle persone e alla responsabilità sociale dell’impresa”. Eppure è lui che insieme al montiano Riccardi e all’allora segretario Cisl Raffaele Bonanni, colui che ha sostanzialmente avallato la progressiva erosione dello Statuto dei lavoratori portando al Job’s Act,  ha firmato “Verso la terza repubblica”, un manifesto di vomitevole ordoliberismo nel quale appunto le aziende erano assolte da qualsiasi obbligo tranne il profitto. Ed è proprio lui, insieme alla torma di politicanti subalterni e affaristi, ad aver cancellato prima moralmente e poi anche legalmente la responsabilità delle imprese le quali possono licenziare con sms e andarsene quando gli pare e piace poiché esse devono praticare unicamente il profitto e anche pochi centesimi di risparmio o magari qualche consistente bonus di qualche governo bananiero dell’est, autorizzano, giustificano  qualsiasi carognata. Da notare che il ministro ha invece apprezzato il fatto che i suoi pari abbiano fatto slittare a dopo le elezioni la svendita finale di Alitalia.

L’ ira funesta che infiniti addusse twitter agli italiani non deriva certo dai licenziamenti per la delocalizzazione in Slovacchia che fanno pienamente parte della cultura aziendalista di Calenda, ma unicamente dal fatto che lo smacco inatteso, ovviamente solo riguardo ai tempi della sua evoluzione e alla palese dimostrazione che una multinazionale se ne fotte ormai dei ministri anche quando chiedono il favore di qualche settimana, può danneggiare gravemente l’immagine di questo enfant prodige dei salotti buoni (si fa per dire ) di destra e di sinistra, che non aspira ad essere eletto perché si sa, anche in queste condizioni, il confronto con l’elettorato protrebbe essere pericoloso, ma a fare il premier o comunque l’eminenza grigia del governo, in qualità di faccia nuova per le solite cose e rigorosamente non eletto da nessuno.

La posizione che del resto spetta a un prodotto tipico della classe dirigente italiana e di un ceto politico neo liberista e atlantista ad oltranza non foss’altro che per mancanza totale di idee e di prospettive: le dimostrazioni sono innumerevoli e vanno dalla già citata Ilva, all’appassionata difesa della Tap, alle posizioni oltranziste in favore del Ttip, alla sponsorizzazione del Ceta o di trivella selvaggia, ma anche alla svendita delle nostra industria residuale alle multinazionali Usa che poi sappiamo come si comportano. Insomma Calenda è un precipitato della commedia all’italiana nei suoi caratteri più seriosi, servili e ambigui, in pratica un possibile personaggio per suo nonno.  Solo che con lui niente pane, niente amore e niente fantasia,