caccia abbattuto.00_00_13_12.Immagine001-ky8E-U11012334277418cGB-1024x576@LaStampa.itAlle volte non tutto il male viene per nuocere e se da un lato l’abbattimento dell’F16 israeliano da parte di un missile siriano dimostra come sia facile e imprevedibile l’escalation di un conflitto, come la scintilla capace di dare fuoco alle polveri globali sia sempre dietro l’angolo, dall’altro mette a dura prova la baldanza occidentale e l’idea che  un conflitto planetario finirebbe comunque a suo favore. Alle opinioni pubbliche viene somministrato questo ansiolitico per ottunderle e impedire che vi siano forti reazioni generali e politiche contro la guerra e i governi che ne assecondano le logiche, ma si è molto lontani dalla concretezza delle cose.

Il caccia abbattuto è infatti uno dei 300 dell’aviazione di Tel Aviv che monta tutte le più recenti e sofisticate tecnologie messe a punto tra tecnici israeliani e statunitensi (il velivolo è oggi costruito dalla Lockheed sebbene sia stato progettato dalla General Dynamics), ma non è riuscito ad evitare di essere distrutto da un S200, un missile risalente al periodo sovietico e precisamente agli anni ’60: non proprio un reperto archeologico, ma comunque un’arma non troppo aggiornata dal punto di vista dell’elettronica di bordo. E probabilmente non è il primo il caso del genere: negli ultimi due anni ci sono altri tre caccia israeliani che Damasco sostiene di aver buttato giù, mentre Israele nega. Prove in un senso o nell’altro non ce ne sono dunque sarebbe ozioso soffermarsi sulla questione: è invece importante notare come questi S200 oltre che antiquati non siano proprio in condizioni ottimali: si tratta di quelli persi nell’avanzata del terrorismo mercenario, lasciati in  stato di abbandono per anni e recuperati dopo la riconquista di grandi parti di territorio da parte delle truppe di Damasco, tra le quali è probabile che ormai il personale addestrato al lancio scarseggi, per usare un eufemismo.

Si tratta ovviamente di un episodio dal quale non si può dedurre l’universo mondo, ma che tuttavia restituisce un’idea chiara del declino occidentale e degli effetti perversi di un sistema globale che proprio mentre ipnotizza le masse con mirabolanti gadgets, le strappa dai rapporti reali con i social, le inganna con i mezzi di informazione più tradizionali, ne assopisce le reazioni politiche dirottando la protesta verso forme di arcaismo relazionale, di religiosità consumistica e di conformismo orwelliano, finisce per perdere terreno e per rivelarsi paradossalmente sempre più inefficiente. Così mentre si narrano i fasti delle tecnologie e della miseria opulenta, si arretra proprio sul terreno che fa parte della terra promessa del pensiero unico e dal momento che  il complesso miltar – industriale è completamente immerso in queste logiche, ne riproduce al massimo gli sprechi e l’opacità, è anche quello dove meglio baluginano  le conseguenze a medio termine.

Anche l’annunciata distruzione di un drone iraniano da parte degli israeliani preludio all’azione in cui è stato abbattuto l’ F16, è un’ulteriore dimostrazione di tutto questo: chi avrebbe scommesso che in vent’anni gli iraniani avrebbero padroneggiato tecnologie militari di fatto messe a punto tra il 1998 e il 2001, quando per esempio l’Europa è ancora nella fase preliminare della progettazione di un proprio drone che se tutto va bene volerà nel 2023, mentre l’Italia non solo non ne produce ( lo fa solo la Piaggio che è però di proprietà degli Emirati arabi) ma ne ha comprato una dozzina dagli Usa (peraltro già abbastanza obsoleti)  che finora hanno dato il permesso di armarne solo due.  Il che francamente è uno tra gli aspetti più grotteschi e tragicomici del sistema coloniale Nato.

Insomma l’oro che luccica è spesso falso, è la  placcatura ingannevole su un mondo che sta rapidamente raggiungendo il bivio tra la necessità un cambiamento radicale o la dissoluzione. Non è un caso che man mano il bivio si avvicina una parte del potere reale che opera dietro lo scenario ufficiale si stia organizzando come partito della guerra come ultima spiaggia di un sistema mondo sempre più diroccato dalle contraddizioni.