Anna Lombroso per il Simplicissimus
Pare sia diventata legge di natura che se qualcuno festeggia qualcun’altro patisce. Accade quando i signori della guerra si godono i frutti della vendita di armamenti e i bottini delle loro scorrerie, quando imprenditori criminali sghignazzano, quando gli 8 uomini più ricchi del mondo che guadagnano da soli quanto metà della popolazione globale, decidono come arraffare sempre di più in modo che noi abbiamo sempre meno.
Succede anche con le feste, se quando a Venezia di riversano i forzati del Carnevale, vomitati da treni e pullman, i pochi residenti non ancora espulsi a viva forza fanno penitenza, malgrado l’imposizione da parte del Viminale di un propagandato numero chiuso garantito da steward con tanto di divisa e palmare come nella curva sud o nei concerti di Vasco, ingovernabile nel labirinto di calli e ponti della città più fragile del mondo.
Sono lontani i tempi nei quali il Carnevale incantava e attraeva con il suo mito i viaggiatori,che vi si recavano in pellegrinaggio perdersi in quel tempo sospeso nel quale vigevano inusuali libertà e libertinaggi, grazie a travestimenti che permettevano seduzioni e incontri fugaci e disinibiti, sberleffi e derisioni, vendette e pacificazioni con lo sbarazzarsi di regole e convenzioni, non solo nelle relazioni erotiche, ma anche in quelle di classe, quando la servetta lusingava e sbeffeggiava il farfallone amoroso e Arlecchino, coperto con bautta e tabarro l’abito rattoppato, schernisce e inganna apertamente il signor contino. Quando per l’Andrea di Hofmannsthal recarsi a Venezia, “dove tutti sono in maschera” e grazie a quella più autentici e liberi che nell’ipocrita e rigida capitale asburgica, è un rito di passaggio dall’adolescenza alla giovinezza e la tappa iniziatica fondamentale nella ricerca di sé.
Dopo i memorabili galà della Belle Époque e perfino dopo la Grande Guerra dove si racconta che i masegni della Piazza la mattina delle Ceneri fossero coperti da uno strato di un metro di bonbon e confetti lanciati in un dolce combattimento dalle ricche maschere che avevano raggiunto San Marco dai fasti della Cavalchina, dopo che il Carnevale ridiventato ricorrenza popolare con la gente che andava al lavoro in banca o all’anagrafe travestita, coi bimbi in carrozzina bardati da damine e pierrot e dopo che nei primi anni ’80 Scaparro alla Biennale trasformò Venezia in una palcoscenico a cielo aperto con l’intento di tramutare quelle celebrazioni e quegli intrattenimenti spontanei in una manifestazione “colta, sì, ma partecipata”, c’è una data fatidica che segna la fine della festa e del divertimento e l’inizio del business . per pochi, e del castigo penitenziale – per i veneziani.
È quando il Cavaliere nel 1991 nelle vesti di generoso mecenate si porta a casa l’organizzazione, e i proventi, del Carnevale che diventa la kermesse del Biscione, convertendo quella vocazione teatrale che forse imprudentemente voleva esaltare la Biennale, nella condanna a farsi set per spot e soap, destinazione per bauscia in cerca di una garçonnière speciale o di una foresteria che li emancipasse socialmente a spese dell’azienda, in anticipo su sceicchi, multinazionali e dinastie dell’entroterra.
È cominciata allora la non pacifica invasione di lanzichenecchi avvinazzati ma pure di famigliole sperdute e spaventate condannate a vagare senza meta e senza orientamento, attirati da una leggenda smentita da un pauroso e caotico affollarsi che non ha nulla di spettacolare, nulla di divertente, nulla da ammirare, perché come nella massa manzoniana tutti si sollevano in piedi per guardare oltre le teste del vicino e così nessuno vede niente. Tutti indirizzati verso la Piazza ridotta a fiera paesana con tanto di stand e baracchini di prodotti locali: maschere di Taiwan che “artigiani” del posto in veste di figurabti creativi fingono di decorare per la gioia dei passanti, che ormai gli “eventi” offerti agli incauti pellegrini si riducono a una regata sottotono con le comparse infreddolite negli abiti tarlati e al volo spericolato della Colombina.
Come quando scendono a terra i “galeotti” delle crociere, anche i pellegrini della liturgia fescennina non portano benefici e guadagni alla città: arrivano equipaggiati con le birre nello zaino e i panini nel cestino, nel migliore dei casi acquistano un souvenir che ha fatto la stessa strada di Marco Polo, foraggiano unicamente le organizzazioni di travel economiche in alternanza ai viaggi parrocchiali con annessa vendita di pentole, vittime di quella religione pagana che impone si essere tutti nello stesso posto nello stesso momento – fenomeno che va sotto il nome di consumo e abuso dei beni posizionali – come se fosse un dovere sociale e non un diritto alla bellezza e alla gioia da godere con pienezza e consapevolezza. Al contrario dei viaggiatori del lusso che rifuggono la volgare marmaglia e se capitano a Venezia in questi giorni, si chiudono ben nascosti e protetti in romiti e appartati relais.
È che nell’avidità si nasconde un istinto a un tempo criminale e suicida, per accumulare e fare cassa, chi ha nelle mani la città la consuma, ne abusa, la maltratta, le succhia le forze, ne avvilisce la bellezza, la manda in rovina in modo da legittimarne la consegna a chi ne rivendica la proprietà in veste di protettore munifico, usa l’ignoranza indotta dall’eclissi di istruzione e sapere per farne merce da offrire a un sguardo veloce alzando gli occhi dallo smartphone.
anonimo, a carnevale vestiti da bagnai, poi da generale pappalarda, poi da marco mori, poi da punkreas cuore nero, hai l’occasione per fare della tua vita in capolavoro…
Ecco i l’ habitus più confacente al comportamento di sportswear:
http://i.huffpost.com/gen/4262072/images/o-INTERNET-TROLL-facebook.jpg
Ti sei scorato l’ayatollah di Ramalh, che fa molto esotico…
Bagnai e la Lega con il pretesto (?) anti euro ( echi fra gli schieramenti di “opposizione” Non è anti euro?), ma di destra, vuole introdurre una iniqua politica economica di flat tax, che creerà ulteriore danno alle classi
subalterne, creando ulteriore iniquità ( nella tassazione…) e disuguaglianza.
si può leggere:
https://irradiazioni.wordpress.com/2013/07/04/ecco-dove-avevo-gia-sentito-parlare-di-bagnai-un-ricordo-lontano-che-affiora/
http://tinypic.com/view.php?pic=aeoeo6&s=9
UH, AH AH AH, ANONIMO SI SENTE IN GUERRA DI RESISTENZA CONTRO TROLL E BRANCHI DI FEMMINE…
Il ballo del quaquaraqquà:
http://www.linkiesta.it/it/article/2016/12/17/la-violenza-delle-donne-sugli-uomini-esiste-e-nessuno-la-racconta-megl/32734/
Come smentire i delirii autistici pregiudiziali e dogmatici di un Troll ?
Anna, soffro con te.
Sono fuggita, non lavoro e non vivo più là, ma la ricordo con un rimpianto doloroso, simile al tuo.
Molti carnevali fa, siamo ancora nei primi anni ottanta, la città era godibilissima e generosa con chi arrivava, perchè ogni campo o campiello inventava qualcosa. Oddio c’erano ADDIRITTURA i veneziani, te ne rendi conto?
C’erano locali dove si poteva gustare le fritoe e magari la meravigliosa cioccolata.
Non vedo Venezia da oltre dieci anni, anche perchè una mia cara amica veneziana DOC, mi suggerisce sempre di “ricordare” e di “non vedere” la trasformazione di Venezia in VENICELAND. Manca solo il tendone da circco messo sopra alla città.