0004C049-stato-e-potenzaOggi vorrei rispondere agli input che ricevo da un po’ di tempo riguardo al fatto che sempre più spesso mi occupo di vicende estere e di geopolitica, dedicando pochissimo spazio al dibattito italiano, se così possiamo chiamare l’insensato bailamme che ci circonda. Il fatto è che nella mia ingenuità irredimibile, avevo pensato che la crisi iniziata nel 2008 avrebbe via via reso nudo l’imperatore e svelato come il liberismo atlantista avesse ormai raggiunto i limiti della sua capacità propulsiva e dunque di attrazione, favorendo cosi una progressiva riaggregazione politica attorno ai poli della solidarietà, eguaglianza,  civiltà del lavoro. Però nulla di tutto questo si è verificato:  l’impoverimento di vasti ceti sociali, la sottrazione di diritti, la precarietà galoppante, la distruzione della scuola, la privatizzazione della sanità, la scomparsa potenziale dell’istituto pensionistico, la disuguaglianza ai massimi storici, il ricatto del posto di lavoro, la svendita degli asset del Paese se da una parte hanno suscitato drammi e proteste, dall’altra non hanno scalfito il paradigma dal quale tutto questo è nato e gli strumenti con i quali è stato realizzato.

Non c’è stato insomma quel salto di qualità  che è necessario per una svolta radicale e anche tra chi si pensa come controcorrente o come antagonista del contemporaneo,  ci si ferma ai tatticismi, all’occasionalismo, a una sorta di crepuscolarismo politico che – ma è solo un esempio – riesce a fare di un uomo dell’establishment come Grasso, una speranza. Ed è difficile capire quanto ci si illuda o quanto ci si voglia lucidamente illudere. La forza di una comunicazione ormai in poche mani, la paura instillata e abilmente depistata, il dominio dell’economia cartacea rappresentata dalla finanza e il trasferimento del lavoro e sempre più spesso del sapere in Asia, la crescita di almeno due generazioni dentro un modello global – liberal- atlantista divenuto archetipo con la caduta dell’Urss e dunque nemmeno più discusso, rendono molto arduo afferrare il timone e cambiare rotta. Questo vale per l’Italia nella sua peculiare realtà formatasi dopo il conflitto mondiale, ma vale anche, mutatis mutandis, per tutti i paesi europei nei quali crescono movimenti di opposizione di varia natura, ma non abbastanza forti da ribaltare la governance o quando ciò accade non abbastanza convinti da resistere ai ricatti e ben presto assorbiti dentro la logica del globalismo finanziario e ricattante come è accaduto in Grecia. Per non parlare di quelle fazioni eretiche del neoliberismo che talvolta la spuntano trovandosi però a gestire tutte le contraddizioni e le impossibilità del caso come sta succedendo a Trump.

Per questo mi sono sempre più convinto che un radicale cambiamento potrà determinarsi stabilmente solo nell’ambito delle mutazioni geopolitiche in corso e in particolare dalla perdita di potere globale del potere finanziario occidentale che porterà a rivedere e relativizzare i rapporti di forza. Ne è un esempio la nuova via della seta cinese che si pone come alternativa al globalismo finanziar – bancario focalizzato in America, così come lo è, su un altro piano, ma in qualche modo convergente, la brillante e inaspettata resistenza della Russia all’accerchiamento militare perpetrato attrarverso gli arancionismi finanziati da Washington . La comparsa di antagonisti e deuteragonisti credibili,  libererà energie che oggi sono solamente potenziali e restituirà maggiore libertà ai popoli soggetti al mercato e a un Pantheon degno della peggiore restaurazione in cui gli dei  maggiori si chiamano profitto privato e stato di sorveglianza. Da dentro,schiacciati dall’enormità del potere e più ancora del suo immaginario, è difficile proporre qualcosa che non sia illusorio: persino in settori specifici e di confine come quello delle criptomonete che alcuni interpretano quale riscatto, è una chimera credere che esse siano al sicuro da manipolazioni visto che sono completamente basate su infrastrutture informatiche centrate in Usa e alla fine sotto controllo dei centri finanziari.

Naturalmente si tratta soltanto di ripristinare la dialettica democratica di cui oggi sono rimaste solo le vestigia, quanto agli esiti essi sono tutti da determinare. Per questo motivo preferisco occuparmi proprio di queste logiche più generali piuttosto che di quelle specificamente italiane che in sé paiono un gioco a nascondino e si esauriscono in una partita di sottrazione, come ad esempio quello che sta portando alla crisi i giornali di sistema in particolare Repubblica, il quotidiano del Pd e della soi disante sinistra  senza però che qualcuno adombri un sistema effettivamente diverso, oppure la sempre più drammatica  perdita di identità e di cultura del Paese nel suo complesso. Certo alla fine anche io metterò una scheda nell’urna e non sarà certo per Renzi, per Salvini e Berlusconi o per i trasfughi fuori tempo massimo del Pd, né per qualunque forma  parallela di altrismo europeista o finanziario: ma con la consapevolezza che si tratta solo di una testimonianza per quello che può valere.