fagioliNegli utlimi mesi, man mano che diventava palese l’ostracismo della razza padrona verso Renzi, una sua creatura, ma visto ormai come l’uomo della sconfitta per eccesso di bugie, prese in giro, tracotanza e opacità, sono emersi due fatti nuovi antichi come il mondo: si è scatenata la battaglia per cogliere l’eredità di questo caduto sugli spalti dei massacri sociali e di diritti, mentre si è rispolverata la marsina dell’eterno trasformismo italiano. In questo caso, visto che i poteri reali sono quelli esterni al Paese, abbiamo visto Di Maio dichiararsi pro euro e fervente europeista così da rassicurare gli dei minori che ci governano da Bruxelles (quelli maggiori sono oltre oceano), mentre Alberto Bagnai, prima coerente sostenitore dei danni provocati dalla moneta unica inesplicabilmente cominciava a dire che una eventuale uscita dall’euro faceva solo parte di un possibile e futuribile piano B, non più del piano A, ovvero delle cose da fare. Poi con la candidatura nella Lega si è capito che il finto eresiarca ambiva  alla cadrega da onorevole per sistemarsi a vita e quando l’occasione si è presentata ha mandato alle ortiche l’ambiguo  keynesismo cui si conformava.

Le argomentazioni con le quali è avvenuto il cambio di gabbana sono così pretestuose e talvolta ottuse che è inutile soffermarcisi: la dimaiata per cui non bisogna uscire dall’euro perché Francia e Germania non sono più così unite, non solo rappresenta l’esatto contrario della realtà, come le quotidiane cronache raccontano a chi sa leggerle, ma costituiscono un non senso perché anche se davvero ci fosse un allentamento dell’asse carolingio, ciò sarebbe del tutto ininfluente sulle perverse dinamiche economichee sociali  create dalla moneta unica in un’area non omogenea e anzi più divisa che mai. La debolezza altrui sarebbe semmai l’occasione giusta per mettere a punto una strategia di uscita, non un pretesto per rimanere. Però c’è una cosa che mi ha colpito in questa campagna elettorale e nelle mosse dei suoi vari protagonisti, a parte  Berlusconi che continua a promettere per la gola per conto del dottor Alzheimer e dei suoi milioni di pazienti con la scheda in mano: sia Renzi che Di Maio, che Bagnai, che  la neo canditata Boschi in Trentino che fa molto Toreau che i loro moltissimi affini, sono espressioni di una provincia profonda, schegge di un notabilato locale a volte tradizionale, altre volte massonico o chiesastico o accademico o di censo, spesso alcune di queste cose insieme, la cui particolarità consiste nella capacità di essere mediatori tra interessi particolari, di non avere idee radicate sul bene comune, ma solo quelle che possono fruttare nell’immediato e di essere nel contempo portatori nativi di un “ordine sociale e politico” dal quale scaturisce la loro stessa prominenza.  Un fenomeno che secondo lo storico Giuseppe Galasso è alla radice della cosiddetta “democrazia latina”, dove clientelismo, trasformismo e immobilismo ideale la fanno da padroni divenendo il cemento dell’ aggregazione sociale in uno spazio pre politico e al tempo stesso post politico.

Quella del notabile è una figura chiave della nazione: era già stata delineata e analizzata nel Piccolo mondo moderno di Fogazzaro dove viene posta in rilievo la sua figura come abile mediatore, interprete ed esecutore, diaframma osmotico tra il popolo e il potere, mai come ideatore o pioniere o rivoluzionario o innovatore o semplicemente modernizzatore reale, meno che mai progressista. Dunque non stupisce che nelle condizioni in cui si trova il Paese da un decennio a questa parte abbiamo avuto un avvicendamento continuo di notabili di ogni tipo ed età, dal professore al guappo i quali non soltanto non volevano porre mano ai problemi del Paese in senso generale e non soltanto contabile o in favore di telecamera, ma nemmeno potevano farlo essendo culturalmente del tutto estranei a un vero cambiamento di contesto e di fatto non riuscendo che a fare il dettato, chi in una algida correttezza, chi con svarioni da Pierino. La maestra potevano essere i circoli liberisti che danno ai ricchi l’illusione di pensare o comunque di poter comprare il pensiero oppure il bar sport o indignazioni di routine o persino l’impegno per così dire “scientifico”, ma la cosa non cambia molto perché alla fine battono la grancassa al ritmo che impone l’orchestra.

Figurarsi se questo piccolo mondo antico potrà mai sfidare il conformismo e la pseudo ideologia global europeista che è l’arma dei potenti: il loro problema è solo come indorare la pillola amara e prescriverne la posologia.